lunedì 29 settembre 2008

Irresistibly Milanese.


New York concreta e urbana, Londra irriverente e conservatrice. Poi arriva Milano. E tutto il fashion system, sia quello esibizionista e sopra le righe che quello snob e ipercritico, converge sul capoluogo lombardo contendendosi un posto sul front row e un invito al party definitivo della stagione. Perché - New York se ne faccia una ragione - l'acme delle Fashion Weeks mondiali è proprio qui.
Pensate a un grande marchio (Valentino escluso: ha scelto Parigi lui, da un bel po'): in nove casi su dieci, sfila a Milano. Pensate agli abiti indossati dalle celebrities: stilisti italiani, nella maggior parte dei casi. A Milano c'è la storia della moda, c'è la consacrazione tra le firme che contano, c'è il glamour, la mondanità. Un mixed-up world che mette insieme il pragmatismo newyorkese, l'anarchia snob londinese, lo chic teatrale parigino.
Alberta Ferretti. Bottega Veneta. Dolce & Gabbana. Pucci. Missoni. Armani. Fendi. Gucci. Marni. Prada. Moschino. Ferragamo, Versace. Nomi che firmano accessori e abiti femminili, avant-garde, sexy, romantici, ironici, classy.
Nomino soltanto i miei favoriti, perché in realtà l'elenco sarebbe ben più lungo. Ma resta un fatto: a Milano non si gioca, non si fa spettacolo fine a se stesso, né si ripetono stancamente schemi e suggestioni già viste. Si dettano tempi e modi della moda, tra l'invidia e l'ammirazione del mondo.
E non è cosa da poco.

Riflessione sul dolore. Parte 1.

Certe volte mi sembrava una notte infinita. Un dolore assordante, che mi frastornava e piegava e tormentava. Non riuscivo a respirare. Il cuore sussultava nel petto fortissimo, la testa si riempiva di mille pensieri contrastanti. Ero sconfitta. Urlavo, stringevo i denti, piangevo.

Le mie maledizioni, a bocca serrata, finivano nel nulla. Ero devastata.

Solo chi ha provato un simile dolore può capire. Negli occhi solo un nero cupo, nelle orecchie il rumore dell'anima che si devasta, sempre di più. Quando provi questo dolore, non lo dimentichi più. E quell'esperienza, così tremenda e cieca e assurda, cambia per i restanti giorni tutte le tue prospettive.

E' un paradosso... Ma la vita diventa sorprendentemente bella: sgargiante, profumata, degna.

Sei nato una seconda volta, vedi tutto come se fossi appena venuto alla luce.

Ritrovi lo stupore del bambino, e non lo molli più. Devi reimparare a guardare.

Quel dolore, lo ringrazierai.

mercoledì 24 settembre 2008

God save the Queen.


Tra New York e Milano, rivendicando il proprio diritto ad esistere stretta com'è tra i potentati dell'industria della moda, Londra propone la sua personale Fashion Week.
Che, va detto subito, brilla per originalità, capacità di rischiare e di offrire inedite prospettive: di Londra mantiene lo spirito irriverente e bohémien, l'astuta vocazione rivoluzionaria e conservatrice al contempo. Londra è la città di Aquascutum e di sir Paul Smith, interpreti ormai leggendari del coté più tradizionalista ed eminentemente londinese, ma è anche la città della mitica Vivienne Westwood, che ha ancora molto da insegnare anche ai più smaliziati in fatto di provocazioni e ironia. 
Molti giovanissimi stilisti mostrano qui per la prima volta il loro talento, ed è qui che i grandi nomi vengono a curiosare per farsi un'idea su chi potrebbe essere un ideale braccio destro, se non un erede. Qui è il luogo della next big thing, non a caso è qui la Central Saint Martins, la scuola di moda più famosa del mondo.
Certo, Londra è scomoda come una pulce fastidiosa se la si guarda con l'occhio del fashion system più potente e conservatore; la moda che propone pecca irrimediabilmente di poca portabilità, mette sulla passerella suggestioni, idee e provocazioni piuttosto che abiti da indossare. Ma diverte, stuzzica, disturba.
Se di spirito critico si può ancora parlare a proposito della moda, l'unico baluardo rimasto è Londra. Che Dio ce la conservi lungamente e in prosperità.

Una lettera mai spedita.

Non siete tanto più vecchi di me; vi considero anzi miei coetanei. Le traiettorie della vita mi hanno però portata, per un certo periodo di tempo, a fidarmi di voi e a dipendere da voi.
Vivete nella radicata convinzione di essere invincibili, creativi, brillanti e mai fallaci. Guardate dall'alto in basso la moltitudine dei non iniziati, dispensate rabbia a chi non vi asseconda.
La vostra è un'ironia malvagia, non siete a vostro agio con le persone: temendo il loro giudizio, le escludete. Non tollerando le vostre stesse debolezze, non tollerate quelle altrui.
Siete gretti, avidi, privi di umanità e moralità. Non vi fate scrupolo nel farvi gioco di giovani come voi, un po' meno privilegiati ma pieni di sogni e di ambizioni. Non rispettate le basilari regole del rispetto e aggirate un certo tipo di legalità con sprezzante noncuranza.
Credete di sapere tutto: e invece non sapete niente.
Non sapete che, quando si è giovani, credere assurdamente, ciecamente che il lavoro sia tutto toglie energie che andrebbero spese per rendere quella gioventù degna.
Non sapete che il tempo tolto a un amico non torna mai più, e che presto rimarrete voi e il vostro lavoro. Null'altro.
Non sapete che il mancato rispetto sarà di danno prima di tutto a voi stessi, perché vi renderà odiosi, intollerabili, inumani, e circondati dal nulla.
Nessuno si fiderà più di voi: avrete costruito un enorme castello di sabbia, sarete nevrotici, soli, rancorosi, e quel lavoro che consideravate tanto importante dimostrerà i suoi limiti. Costruito sull'inganno, la furbizia, la malafede, l'avidità, la mancanza di onestà, imploderà per sua stessa natura. Una casa con le fondamenta marce prima o poi crolla.
Non avete saputo dimostrare neanche un granello di umanità a una persona che tanto aveva fatto e tanto si era sacrificata per voi: ero un pezzo di ricambio, potevo essere tranquillamente sostituita. E quante volte prima di me era già successo! Avevo visto tutto coi miei occhi, ma non volevo credere.
Non provo più rabbia per voi. Vi compatisco. Vi ringrazio perfino: senza di voi non sarei arrivata a questo punto. Un punto in cui tutto mi è più chiaro, un punto doloroso. E necessario.

lunedì 8 settembre 2008

New York Delight.


Siamo nel pieno della Fashion Week newyorkese. Sensi allertati, ma non troppo, perché nella città più fantasmagorica del mondo si svolge, in realtà, la settimana della moda più convenzionale e conservatrice. Lo chic newyorkese è certamente delizioso: urbano, minimale, pratico, pochi accessori, più un gioco di proporzioni che un virtuosismo sartorial-architettonico. Più che una promessa di ciò che sarà, si assiste a una celebrazione di ciò che c'è, senza troppi voli pindarici. Quello che si vede oggi a New York si è già visto a Milano e Parigi uno, due anni fa. Cionondimeno, que viva New York! Città dei miei sogni di bambina e di adulta, luogo eletto di ogni opportunità, frastornante utopia open-minded.


Perché adoro Bulgakov.

Da Il Maestro e Margherita.

"Sono inguaribile. (...) Quando Stravinskij dice che mi restituirà alla vita, io non gli credo. E' umano, e vuole semplicemente consolarmi. D'altronde non nego di stare molto meglio adesso. (...) Non bisogna certo fare dei grandi progetti, caro vicino, è vero! Io, per esempio, volevo fare il giro di tutta la Terra. Si vede che non era stato scritto. Vedo solo un insignificante pezzetto di questa Terra. Penso che non sia il migliore che esista al mondo, ma, lo ripeto, non è poi così misero. Ecco, l'estate si sta avvicinando, sul balcone spunterà l'edera, come assicura Praskov'ja Fedorovna. Di notte ci sarà la luna."

lunedì 1 settembre 2008

Love is Noise.


Amo i Verve dall'estate del 1997. Avevo da poco compiuto i diciotto anni, ed erano le mie prime vacanze "da sola". Finale Ligure. Quella fu l'estate di "Bittersweet Symphony", una delle più belle canzoni di sempre. L'album che ne seguì accompagnò tutto l'ultimo anno di liceo, intensamente, con costanza. Poi, così com'erano prepotentemente apparsi nella mia personale playlist, scomparvero. La voce di Richard Ashcroft ricompariva qua e là, sempre così potente ed espressiva; le sue canzoni da solo portavano l'inconfondibile marchio del genio musicale. Eppure, non decollavano. Doveva arrivare quest'estate a regalarmi una perla come "Love is Noise". Non solo è la mia summer song. Porta un titolo magnifico e vero, e segna il loro ritorno. In un anno per me così turbolento, bentornati. E grazie del regalo.