domenica 21 dicembre 2008

Tired of Singing Trouble. 3


Le migliori notizie della settimana dal 15 al 21 dicembre 2008.

Il cuore colpito da infarto 
può ripararsi da solo

La nostalgia non è un male
ha un potere terapeutico

Una risata fa davvero bene alla salute
L'ennesima conferma dal Giappone: i bimbi allattati da mamme «allegre» stanno meglio

Riscaldamento dal sottosuolo
Ikea rilancia la geotermia

Torino, arriva l'eco-stadio
riciclato dal Delle Alpi

Fotografata l’azione dell’energia oscura
La prova della sua esistenza dalla «paralisi» di crescita di alcune galassie

Paula: i primi bagnetti allo zoo di Berlino

Science: le 10 scoperte dell'anno
«Vince» la riprogrammazione cellulare. Al secondo posto l'osservazione di pianeti extrasolari

Gas e luce, a gennaio i primi cali
bollette più leggere del 5 e dell'1%

Scuola, il primato dei bimbi italiani
figli delle 'vecchie' elementari

P2p, le major ci ripensano
non perseguiranno i "pirati"

Un’ora di corsa intensa 
e l’appetito se ne va
Una ricerca inglese dimostra come l’esercizio aerobico interferisca con i livelli degli ormoni della fame

Scoperta su Marte una zona 
più favorevole alla vita
E' la «Fossa del Nilo», ricca di carbonati e altri minerali legati alla presenza dell’acqua

Editoria, prove di potere rosa
Aumentano le donne ai vertici: sono il 36% E 4 libri pubblicati su 10 hanno firme femminili

domenica 14 dicembre 2008

Tired of Singing Trouble. 2

Le migliori notizie della settimana dall'8 al 14 dicembre.



Vendemmia da record

L'Italia supera la Francia

È di nuovo primo produttore al mondo http://www.corriere.it/economia/08_dicembre_09/fausta_chiesa_vendemmia_record_italia_abd5f2a0-c5be-11dd-a2ac-00144f02aabc.shtml


Google Zeitgeist 2008: Saviano, Olimpiadi, Fiat 500

http://zambardino.blogautore.repubblica.it/2008/12/10/google-zeitgeist-2008-olimpiadi-500/


Contraccezione: arriva la "biopillola"

E' priva degli effetti collaterali di quelle attuali, che interrompono la produzione ormonale di tutto il corpo

http://www.corriere.it/salute/08_dicembre_09/biopillola_contraccezione_ormoni_c176a5f4-c619-11dd-a2ac-00144f02aabc.shtml


Dimezzare i morti entro il 2010

Il traguardo Ue è ora possibile

Il famoso obiettivo di ridurre entro il 2010 del 50% il numero delle vittime da incidenti stradali, potrebbe essere davvero raggiunto dall'Italia. Ecco perché

http://www.repubblica.it/2008/12/motori/motori-dicembre-2/traguardo-2010/traguardo-2010.html


L'altro calcio di Clarence Seedorf

"Troppo odio, sembra una guerra"

http://www.repubblica.it/2008/12/sezioni/sport/calcio/seedorf-razzisma/seedorf-razzisma/seedorf-razzisma.html?ref=hpspr1


Golden Globes, in corsa Gomorra

Nomination postuma per Ledger

Il film tratto dal romanzo di Saviano fa parte della cinquina per il miglior film straniero

http://www.corriere.it/cinema/08_dicembre_11/golden_globes_gomorra_ledger_94cbe4de-c79e-11dd-a4b9-00144f02aabc.shtml


"L'iPod sarà un flop", le previsioni scientifiche più sbagliate

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=5470&ID_sezione=38&sezione=News


Obama, Lehman, Mumbai:i fatti più importanti del 2008

http://www.repubblica.it/2008/12/sezioni/esteri/top-ten-time/top-ten-time/top-ten-time.html


Da Gomorra a Stoccolma

Io e i fantasmi dei Nobel

http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/spettacoli_e_cultura/saviano-rushdie/saviano-fantasmi-nobel/saviano-fantasmi-nobel.html


Telethon record nonostante la crisi

Raccolti oltre 31 milioni di euro

http://www.corriere.it/cronache/08_dicembre_14/telethon_record_c7aed196-ca18-11dd-9bd9-00144f02aabc.shtml

venerdì 12 dicembre 2008

Glamourama. 2. Goop.com: se lo dice Gwyneth.


Giuro che quando ho avuto l'idea del mio blogghino non immaginavo lontanamente l'esistenza di questo sito. L'ho letto su una rivista: Gwyneth Paltrow ha lanciato il suo website goop.com. Ci si aspetterebbe la solita biografia, le risorse multimediali - foto, video -, la filmografia. E invece no. Perché la cara Gwyneth, che più che un essere umano pare una sorta di alieno o semidio sceso fra noi mortali per umiliarci con la sua bellezza, bravura, eleganza, perfezione e meravigliosa famiglia, più che promuovere la propria immagine e il proprio lavoro, dispensa consigli a tutto tondo. Tutto ciò che rientra nella categoria lifestyle lo trovate lì, perché, come recita
programmaticamente la nostra nel presentare le finalità del sito, "GOOP.com è una raccolta di esperienze di ciò che rende bella la vita. La mia vita è bella perché io non vivo passivamente. Amo viaggiare, cucinare, mangiare, prendermi cura del mio corpo e della mia mente, lavorare sodo."
E allora ecco le sezioni del sito: Make (Creare), Go (Andare), Get (Comprare), Do (Fare), Be (Essere), See (Vedere). Le sezioni ben sintetizzano l'approccio minimal del sito, anche visivamente parlando molto bello, pulito, semplice, di facilissima fruizione. Very Gwyneth, insomma. Sfondo bianco, caratteri eleganti, le varie sezioni accompagnate da efficaci e talvolta poetici disegni esplicativi (esempio: a "Be" corrisponde la sagoma di una farfalla). In sintesi, la bella Gwyneth, che si ritiene fortunata e ricca di esperienze da condividere (e vorrei ben vedere), vuole insegnare anche a noi il cammino che l'ha portata a essere la donna, moglie, mamma consapevole che è oggi.
Ora: sarebbe troppo facile ironizzare sul fatto che, col bagaglio genetico che si ritrova (dicasi bellezza+talento) abbia fatto un po' meno fatica di tanti altri. Oppure si potrebbe dire che è facile vivere una vita bella quando si hanno i miliardi. L'uomo della strada lo direbbe, e la tentazione verrebbe pure a noi.
Però... Però mi piace l'approccio. Perché è anche il mio, è quello che voglio trasmettere col mio ben più umile e sgangherato blogghino. Non dobbiamo sopravvivere, dobbiamo vivere, aumentare la qualità della nostra vita per quanto nelle nostre possibilità. Prenderci cura di noi, del corpo e della mente, ha ragione la cara Gwyneth, armonizzarci con la realtà circostante e cogliere tutte le occasioni di felicità e di godimento che ci riserva. E farlo con calma, consapevolezza, senza rincorrere inutili chimere... Quando stiamo bene dobbiamo esercitarci a cogliere il presente nella sua interezza, come si fa con un esercizio fisico, perché nel momento del dolore, della difficoltà, della sofferenza - che arriverà, è fisiologicamente inevitabile - saremo più forti, più pronti ad accogliere tutto ciò che il nuovo giorno ci porterà, a esserne grati anche se il dolore sarà immenso.
E per fare questo non occorre essere una fighissima attrice di Hollywood. Aiuta, ma non basta.
Quindi brava Gwyneth: è una goccia nel mare, però finalmente un messaggio di positività, serenità, calma, un invito al godimento e all'arricchimento interiore.
Bene. Detto questo, mi promettete che non mi tradirete ? ;)

giovedì 11 dicembre 2008

Cineparadise. 2. Il Divo: una cupa storia rock'n'roll.


Ne Il Maestro e Margherita, il personaggio di Pilato, protagonista del romanzo scritto dal Maestro, soffre di indicibili emicranie. Il senso di colpa per avere mandato a morte Yeshua Hanozri, il messia venuto a portare una nuova Parola, lo perseguita per tutta la vita, e anche dopo la morte, in un limbo di solitudine alleviato dalla sola compagnia del suo amato cane.
Ne Il Divo, ultima opera di Paolo Sorrentino, la prima immagine di Giulio Andreotti è grottesca e cupa: tanti piccoli aghi gli cingono il capo a mo' di aureola, ennesimo rimedio contro quel mal di testa che lo perseguita da quando Aldo Moro morì, segno tangibile di un senso di colpa perpetuo. 
Da qui inizia un film inaspettato e bellissimo, una biografia dal deciso piglio rock, che racconta la "spettacolare vita di Giulio Andreotti", come recita il sottotitolo, partendo con un attacco furibondo e violento, come nelle migliori rock song: la sequenza dei morti eccellenti dalla fine degli anni Settanta ai primi anni Novanta, da Moro a Falcone, accompagnati dal teso sottofondo di Toop Toop dei Cassius e da efficaci didascalie tridimensionali rosso fuoco. Altro spaventoso momento rock, accompagnato dalla splendida Nux Vomica di The Veils, la scena dell'assassinio di Salvo Lima per mano mafiosa.
La storia parte così dall'ultimo, il settimo, mandato di Giulio Andreotti quale capo del governo (1991), per arrivare al 1993, l'anno del maxiprocesso per associazione mafiosa, passaggio cruciale dalla Prima alla Seconda Repubblica, che lo vede stanco, sofferente, in preda a insospettabili attacchi di ansia, eppure ancora così potente, cinico, resistente.
Poeticamente efficace la scelta di osservare il Divo Giulio nel momento più crepuscolare della sua vita, nel suo canto del cigno, testimone ancora una volta dei grandi eventi italiani eppure più fragile, vulnerabile, esposto.
Più umano. Non sono d'accordo con chi parla di un Andreotti marmoreo, cinico, freddo, impenetrabile e insensibile. Ciò è vero, ma non è del tutto vero.
Più che The rise and The fall, è infatti l'acme e il subitaneo declino ciò che più interessa Sorrentino, è il cruciale confronto col bilancio della propria vita che genera il dramma privato, la ferma convinzione che "E'inimmaginabile per chiunque la quantità di Male che bisogna accettare per ottenere il Bene": e in questo le parole di Moro, terribili, accusatorie, un vero anatema, sono un po' il contrappunto, la coscienza di tutto il film, il confronto inevitabile e necessario che Andreotti con ogni mezzo aveva voluto evitare e che pure infesta la sua mente sottoforma di terribili emicranie.
Immagini memorabili: Andreotti con il capo trafitto dagli spilli, Andreotti che cammina per una struggente Roma notturna circondato da una poderosa scorta armata, Andreotti che pedala sulla ciclette, Andreotti imbacuccato e col colbacco sotto la neve, i telegatti ricevuti da Andreotti in fila ordinata sopra il camino, i vecchi elettori di Andreotti a fargli visita ogni domenica in cambio di aiuto - regali, giocattoli, denaro -, le vivaci e spregiudicate manovre della corrente andreottiana prima dell'elezione per il Presidente della Repubblica - bruscamente interrotte dall'attentato a Falcone, il suicidio di Raul Gardini e il suo ritratto di Warhol macchiato di sangue, l'insensata corsa di Andreotti sul pavimento di casa in preda a un folle attacco d'ansia, e poi una delle più belle scene d'amore del nostro cinema: Andreotti e la moglie Livia che, ascoltando
migliori anni della nostra vita di Renato Zero, si tengono per mano senza dire nulla, in un attimo denso, delicato, eloquente, misurato. 
Gli attori sono meravigliosi, perfetti, indimenticabili: partendo da Toni Servillo, mostruoso, e non solo per l'incredibile make-up di scena, circondato da Anna Bonaiuto e Piera Degli Esposti, rispettivamente la moglie Livia e la fidata segretaria signora Enea, a lui devote con amore rispetto e fermezza, accanto a Flavio Bucci nei panni del fedele braccio destro Franco Evangelisti ("Oggi quanto me fai penà, a volerte bene..."), e poi la corrente andreottiana della Democrazia Cristiana, i "brutti ceffi" che lo attorniano per portarlo al Quirinale ("Gli alberi, per crescere, hanno bisogno del concime", dice Andreotti a chi gli fa notare che si sta circondando di cattive compagnie), una vera e propria band tra cui spiccano un eccezionale Carlo Buccirosso (Paolo Cirino Pomicino) e Massimo Popolizio (Vittorio Sbardella), nei panni del terribile Squalo, figure borderline destinate a finire sotto il giudizio di Mani Pulite.
C'è il grottesco, c'è la tragedia privata, c'è la riflessione allegorica sul potere e sulle sue implicazioni, c'è l'intrattenimento, le frasi memorabili, c'è una colonna sonora quanto mai congrua e calzante, c'è persino un andamento da spy story, da intrigo politico, quando entrano in scena i pentiti di mafia: facce perfette, terribili, ritmo serrato, sceneggiatura infallibile, il tutto intessuto di comico e tragico equamente distribuiti.
Sorrentino sceglie non solo uno stile modernissimo e barocco, grottesco e teso, per raccontare questa storia spettacolare, ma sceglie di non giudicare, di mostrare semplicemente ciò che è stato, lasciando allo spettatore il godimento e il piacere di trarre le proprie conclusioni. Con un tocco di umanissima pietas nei confronti del suo protagonista, non solo nelle scene di affetto muto con la moglie, la segretaria e l'amico Franco, ma anche in quel terribile, liberatorio monologo-confessione che è una vera e propria apologia del potere di dostoevskijana memoria.

"Livia, sono gli occhi tuoi pieni che mi hanno folgorato un pomeriggio andato al cimitero del Verano. Si passeggiava, io scelsi quel luogo singolare per chiederti in sposa – ti ricordi? Sì, lo so, ti ricordi. Gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sapevano, non sanno e non sapranno, non hanno idea. Non hanno idea delle malefatte che il potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo del Paese. Per troppi anni il potere sono stato io. La mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile anche per te, gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sanno la responsabilità. La responsabilità diretta o indiretta per tutte le stragi avvenute in Italia dal 1969 al 1984, e che hanno avuto per la precisione 236 morti e 817 feriti. A tutti i familiari delle vittime io dico: sì, confesso. Confesso: è stata anche per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. Questo dico anche se non serve. Lo stragismo per destabilizzare il Paese, provocare terrore, per isolare le parti politiche estreme e rafforzare i partiti di Centro come la Democrazia Cristiana l'hanno definita "Strategia della Tensione" – sarebbe più corretto dire "Strategia della Sopravvivenza". Roberto, Michele, Giorgio, Carlo Alberto, Giovanni, Mino, il caro Aldo, per vocazione o per necessità ma tutti irriducibili amanti della verità. Tutte bombe pronte ad esplodere che sono state disinnescate col silenzio finale. Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. Abbiamo un mandato, noi. Un mandato divino. Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa, e lo so anch'io."

mercoledì 26 novembre 2008

This Is Music. 2. Manic Street Preachers - This Is My Truth Tell Me Yours.

Ci sono diversi modi di cantare la tristezza, e quando lo si fa è facile scivolare nell'autocommiserazione, nell'angoscia, nel kitsch svenevole. Se la tristezza è rabbiosa, di pancia, il discorso cambia: ed è quello che succede con This is My Truth Tell Me Yours, quinto album della band gallese dei Manic Street Preachers.
Uscito nel settembre del 1998, l'album è stato un successo planetario, meritatissimo, che ha portato la band a farsi conoscere fuori dei confini del Regno Unito, Paese che li amava fin dagli esordi.
Esordi travagliati e provocatori: all'uscita di Generation Terrorists (1992), la band manifesta la volontà di sciogliersi subito dopo la pubblicazione del disco, non senza aver venduto milioni di copie e trionfato a Wembley.
Il successo arriva, anche se non così grande, e li convince a proseguire sulla loro strada, nonostante i proclama iniziali. L'allure sbruffona e irriverente degli inizi scompare definitivamente nel 1995, quando la sparizione del chitarrista Richey James Edwards - mai più ritrovato - fa imboccare loro una strada più introspettiva e malinconica, dall'ampio respiro epico e chitarristico.
Controversi e contraddittori, i Manics sono sempre stati fortemente politicizzati, come dimostra sia il loro nome - Preachers significa infatti Predicatori - sia la loro canzone più memorabile, A design for life, dall'album precedente Everything Must Go (1996), considerata l'inno della working class britannica. 
This Is My Truth Tell Me Yours non fa eccezione. Antifascista e proletario, come dimostra il singolo di punta del disco, If You Tolerate This Your Children Will Be Next, l'album è costellato di pezzi dal deciso piglio militante.
Bellissimo e ispirato dalla prima all'ultima canzone, l'album ha un andamento fortemente elettrico, con grandi aperture melodiche e prepotenti riff di chitarra, soluzioni musicali sempre emotivamente centrate e testi semplici quanto di grande profondità e intelligenza. Sospeso tra il rock e il pop, tra atmosfere cupe e momenti di grande delicatezza, l'album non sbaglia un colpo.
The Everlasting toglie il fiato dal primo ascolto, grazie a un accompagnamento orchestrale arioso e a un testo malinconico sull'ineluttabilità della vecchiaia; If You Tolerate This Your Children Will Be Next, strepitoso e inatteso successo da airplay radiofonico, nonostante la linea melodica irresistibile affronta il tema della guerra civile spagnola e dell'antifascismo: semplice, efficace, minimale.
Bello il giro di chitarra di You Stole The Sun From My Heart, che si apre in un ritornello appiccicoso e appassionato, ma il mio cuore batte per l'attacco magico di Ready For Drowning, un organo che mi ricorda tanto A Whiter Shade of Pale e che ritorna alla grande sul finale. Tsunami, che affronta il tema della violenza sulle donne, riprende i toni epici di A design for Life, con uno dei refrain meglio riusciti dell'album, se non il più riuscito, facendosi seguire da un'altra gemma preziosa, My Little Empire che, cupa gelida e spietata, si regge tutta su violoncello chitarra e batteria per raccontare di demoni e lati oscuri. Anche I'm Not Working gioca su atmosfere tetre, ma con più enfasi e meno efficacia, mentre, fortunatamente, You're Tender and You're Tired attacca con un bel giro di piano, per proseguire con un magnifico ritornello (che, infatti, se la gioca con quello di Tsunami) e inattese aperture ad accompagnare un testo magnifico sul disagio psicologico. La delicatezza della seguente Born A Girl commuove: non solo per il testo, che racconta di un uomo imprigionato in un corpo che vorrebbe essere di donna, ma per l'atmosfera sognante, intervallata dal solo suono della fisarmonica e della chitarra. E che dire del riff di Be Natural? Perfetto, incalzante, protagonista di un'altra canzone memorabile e complessa, dall'impatto emotivo potentissimo. A seguire una gemma pop elegantissima e di bellezza rara, Black Dog On My Shoulder, sostenuta da un accompagnamento orchestrale più discreto che in altri episodi dell'album, ma più avvolgente. Nobody Loved You riprende l'impatto da stadio di You Stole The Sun From My Heart o Be Natural, ed è forse il brano più scontato di tutto l'album. La chiusura, cupa e sinistra, è affidata al ezzo più politicizzato, S.Y.M.M., acronimo che sta per South Yorkshire Mass Murderer, ovvero l'episodio del 1989 in cui novantasei tifosi del Liverpool morirono schiacciati sul campo di Sheffield.
Muscolare, veemente, appassionato, profondo, mai banale, brillante dall'inizio alla fine, This Is My Truth Tell Me Yours è un altro album da conservare, non solo per la bellezza dei testi (e dei titoli - davvero meravigliosi), ma anche per l'intelligenza e il coraggio di una band che, cambiando più volte pelle, non ha mai temuto di esporsi e di guardare le parti doloranti sia dell'animo umano che della società, creando melodie e riff davvero memorabili.

martedì 25 novembre 2008

The Quintessence of Beauty. 2. Soul Meets Body.


Che ci piaccia o meno, il corpo è il nostro mezzo di comunicazione più importante con il mondo circostante.
E' un dono, di cui dobbiamo essere non solo grati, ma soprattutto consapevoli. Non è un ingombro da portare in giro per il mondo con fastidio, disprezzo o autocompiacimento. C'è, e dobbiamo averne la maggiore cura possibile.
Il detto mens sana in corpore sano ci dice una semplice verità: il corpo e la mente viaggiano inseparabili, ma soprattutto il corpo è l'espressione visibile e istintiva della nostra anima. La salute mentale, più spesso di quanto non pensiamo, determina la salute fisica.
Non voglio addentrarmi oggi in questo discorso - lo farò in un altro momento, poiché l'argomento mi tocca personalmente - ma voglio parlarvi di come possiamo fare a godere appieno di questo straordinario potere che un corpo sano ci dà.

In primis, il corpo va rispettato. La prima cosa da fare è tenere sempre presente che il cibo che ingurgitiamo deve essere sempre pari alla quantità di energia che spendiamo. Sembra una stupidaggine, ma è così: cellulite e obesità sono piaghe delle società "sviluppate", e il motivo è che possiamo disporre di tutto nelle quantità che vogliamo.
E' ovvio che non tutti spendiamo la stessa quantità di energia: io, che sono in formato tascabile, ne spendo molto meno di un atleta della nazionale di rugby. E infatti i miei consigli sono per le ragazze, ci tenevo a precisarlo!
Quindi, rispettare i pasti: una bella colazione abbondante (e scatenatevi pure! E' il carburante per l'intera mattinata), un pranzo sostanzioso ma non troppo, possibilmente di un'unica portata - magari un bel piatto di pasta, o un'insalata, o una pizza -, e poi una cena leggera, e per leggera intendo un bel secondo piatto di carne o di pesce con relativo condimento. La frutta, se possiamo, mangiamola come spuntino, perché dopo i pasti gonfia e rallenta la digestione. 
Tendenzialmente, per noi ragazze, questo è un buon modo di suddividere i pasti. Dieta dissociata, tantissima acqua - ne abbiamo già parlato scorsa settimana -, frutta e verdura quanto più possibile. 
Tuttavia, siccome siamo al mondo anche per provare piacere col nostro corpo, non possiamo certo privarci di tutto: la portata psicologica del cioccolato, di un buon bicchiere di vino, di un McChicken Menu, di un dolce goloso, di una salsina stuzzicante, di un untissimo pane e panelle è immensa. Gratifica la parte ribelle e sbruffona del nostro organismo. Semel in anno licet insanire? Ma anche un po' più spesso, senza esagerare però.

Mortificarci con continue rinunce non fa bene al nostro corpo, ma soprattutto alla nostra mente.
Chi ha la fortuna di potere godere del proprio corpo lo deve sentire.
Mezzora di passeggiata al giorno fa miracoli: perdiamo peso, aumentiamo la nostra resistenza, affiniamo la silhouette. Non possiamo perché prendiamo l'autobus o la macchina? Attività aerobica, almeno tre volte alla settimana per mezzora: corsa, step, bici, aerobica, spinning, nuoto, anche ballo latinoamericano o qualsiasi altro tipo di ballo, purché aumenti momentaneamente le pulsazioni cardiache. Quindi anche il sesso va benissimo. Lo yoga, o il pilates, ci mettono in comunicazione profonda con il nostro corpo ma soprattutto con le muscolature più nascoste e impensate che lo sostengono. Lo yoga ha inoltre un plus straordinario, perché insegna a controllare il proprio respiro, ad aumentare la resistenza e la flessibilità del proprio corpo, ad ascoltarlo e guardare dentro se stessi accogliendo tutto quanto, anche ciò che non amiamo. Proprio quest'ultimo fattore è fondamentale: il corpo che abbiamo può non piacerci, ma dobbiamo superare questa resistenza mentale pensando che gli stimoli esterni ci impongono modelli di bellezza momentanei, che cambiano nel giro di pochi decenni. 
Guardate le donne nei dipinti del Cinque e Seicento, fino all'Impressionismo, oppure le pin up e le maggiorate degli anni Cinquanta... Oggi diremmo che quella è trippa, cellulite, grasso che non cola neanche tanto, ostinato come la gramigna, eppure per l'epoca quei corpi erano la quintessenza della femminilità sensuale. Ricordate: oggi l'icona di bellezza è Kate Moss solo perché esprime, con la forza del solo corpo, tutte le angosce, le inqietudini, le ansie del nostro tempo. Vogliamo forse imitarla?


lunedì 24 novembre 2008

Life As I See It. 2. Il culto dell'unico figlio.

Me lo fa spesso notare G.: qui al nord c'è una quantità inquietante di figli unici. Io stessa lo sono, e quasi tutti i miei amici che vivono qui hanno al massimo un fratello, o una sorella. Gli amici di Palermo, invece, sono una meraviglia. Famiglie con almeno due figli, ma anche con tre. 
La cosa triste è constatare come essere figli unici non sia poi così divertente e comodo come potrebbe sembrare superficialmente. Io ho sempre sofferto di questa mia condizione, l'ho sempre trovata innaturale e triste. Non mi è mai fregato nulla di avere più giocattoli, o l'amore incondizionato e indiviso dei miei genitori.
I figli unici sono spesso malinconici, introversi, o all'inverso, iperattivi e con la sindrome del koala, che si appiglia al primo ramo disponibile. 
Io sono del primo tipo. 
Il mio carattere, già di per sé timido e riflessivo, si è ulteriormente acuito con la solitudine, da dividere solo coi Lego e le Barbie. 
Quanto ho desiderato un fratello, o una sorella! L'ideale sarebbe stato un fratellone più grande. Un fratello magari apprensivo, rompiballe, ma che mi avrebbe portato in giro con i suoi amici non appena fossi diventata adolescente, una via di mezzo tra l'amore geloso di un papà e la scanzonata complicità di un amico più grande. O una sorella con cui condividere le confidenze e i prodotti di bellezza, sicura che nessuno ci avrebbe separato mai. 
E invece non è stato così.
La mia condizione la trovavo triste quando ero più piccola, e ora che sono adulta la trovo drammatica.
Perché quando crolla il mito dei genitori, passaggio fondamentale e necessario dell'età adulta, non c'è nessun altro baluardo a cui guardare, nessun'altra spalla su cui piangere e con cui condividere dolori e responsabilità. 
Rimane un'agghiacciante solitudine, un'amarezza ineluttabile, perché non si può cambiare ciò che è stato.
Ricordo spesso ai miei genitori il loro errore. Penso sia stata la troppa paura a impedire loro di darmi un fratello. Paura che i soldi non sarebbero bastati; paura di un'altra gravidanza difficoltosa.
Perché poi c'è l'aspetto più sinistro della faccenda-figlio unico: il culto che i genitori sviluppano verso quella solitaria creatura frutto della loro unione.
Il figlio unico è il più bello, infallibile, straordinario, perdonabile, indifeso degli esseri: e per questo va tutelato e protetto o, in altri casi, spronato e programmato per eccellere. 
Non c'è via di scampo.
Il dramma scaturisce quando il figlio, nel confronto con la realtà extra-familiare, scopre che i meccanismi cambiano, che l'indulgenza non è scontata, che l'idolatria non è di default.
Interrogatevi sui vostri amici figli unici: spesso sono persone nevrotiche, o infelici.
Perché cercano inconsciamente di riprodurre quella condizione idilliaca di quando erano bambini, e figli, e tutto ruotava attorno a loro.
Tuttavia, c'è una cosa bellissima dell'essere figlio unico: il coraggio di essere soli contro il mondo, di accollarsi il peso della vita. 
E, quando un figlio unico diventa genitore - fateci caso - non ha quasi mai un unico figlio.

domenica 23 novembre 2008

Tired of Singing Trouble. 1.

Le migliori notizie della settimana dal 17 al 23 novembre. 
Perché, non so Voi, ma io mi sono rotta le balle di sentire solo robe brutte.

Thyssen, imputati rinviati a giudizio
Guariniello: "Una sentenza storica"

Usa, Obama incontra McCain
"Lavoriamo insieme per le riforme"

Il web si ribella ai super raccomandati

I cani possono viaggiare in treno
Fanno eccezione le razze pericolose

Trapianto con staminali
l'ultima idea antirigetto

Internet Top 100

Concorsi truccati: «Io raccomandata pentita, mi sono riscattata...»

Online Europeana, la biblioteca Ue

118 giorni senza cuore, poi il trapianto

Chiama per comprare i biglietti, 
viene ingaggiato come tenore

Videogame socialmente utili
E la scienza la fai anche tu

Un gene che ferma il cancro?
Il segreto dei nani dell'Ecuador

Arrestato Gianluca Bidognetti
figlio del boss dei Casalesi

Un po' per lavoro, un po' per gioco 
Gli intellettuali pazzi di Facebook

venerdì 21 novembre 2008

Glamourama. 1. L'insostenibile leggerezza del low price: H & M.

Non è colpa mia: mi piacciono le cose belle, amo la moda, ho un occhio speciale soprattutto per abiti e accessori costosi. Non perché mi piaccia ostentare, anzi: meno un logo è visibile, meglio è. Però è innegabile: gli stivaletti invernali di Miu Miu che mio padre mi regalò tre anni fa sono ancora in splendida forma, le décolletées rosse di H & M che pure adoro, comprate la scorsa estate, segnano già il passo. Per non dire del cappottino Max & Co. che trionfa ancora nel guardaroba, umiliando i fratelli più sfigati. 
La moda è un gioco meraviglioso, ma è un gioco appunto, in cui cambiano spesso le mosse, i giocatori, le strategie. 
Tenerle dietro non è facile, quando il budget è limitato. Per cui, se si ha buon gusto e spiccato senso della moda, si può confidare in regali lussuosi, sacrificare interi stipendi alla causa, oppure il passo da compiere è uno solo: ripiegare sulle catene low price.
Una salvezza per tutte le fashionistas squattrinate come me, ma anche una mania, un vezzo, una sorta di snobismo al contrario che colpisce non solo le meno abbienti ma anche le signore blasées alla continua ricerca della next big thing.
Regina delle catene d'abbigliamento low price di tutto il mondo è, senza dubbio, la svedese H & M. Hennes & Mauritz, questo il nome per esteso, esiste dal 1968 ma solo da qualche anno è diventata sinonimo di glamour a prezzi accessibili per uomo, donna, teenager e bambino. In Italia è presente in quasi tutte le regioni, e il suo fatturato cresce di anno in anno. Nel 2009 saranno i mercati emergenti orientali e la Russia i prossimi avamposti da conquistare.
Lo stile H & M è casual ma di tendenza, semplice e d'effetto: accanto ai capi basic, da mixare in libertà, ci sono pezzi maggiormente in linea con i leitmotiv della stagione, spesso ispirati alle collezioni delle case di moda di maggiore successo. Da qualche anno, inoltre, stilisti e celebrities collaborano con H & M nella creazione di collezioni in tirature limitate a prezzi convenienti da vendere in stores selezionati: da Karl Lagerfeld a Stella McCartney, da Viktor & Rolf a Madonna, fino a Roberto Cavalli e Comme Des Garçons, quest'ultima partnership a suggellare lo sbarco della catena in Giappone. 
Tutto fa parte di una strategia marketing che non è sicuramente inferiore a quelle delle maison 
più blasonate: accanto alle pubblicità sulle riviste di moda più importanti, featuring le top model più pagate al mondo, c'è adesso la novità di H & M Magazine, più che un catalogo una vera e propria free-press dedicata alle linee guida in fatto di moda e bellezza, che presenta la collezione H & M di stagione in veri e propri servizi firmati da fotografi e stylist famosi.
H & M viene incontro alla passione sfrenata di chi segue la moda ma la reinterpreta in modo personale, soprattutto con gli accessori: il reparto borse, cappelli, scarpe, cinture, bracciali, orecchini, collane, cosmetici è sicuramente il più interessante ed economico perché permette, scegliendo i pezzi giusti, di cambiare il proprio stile in un attimo. Conveniente anche il reparto intimo che, accanto ai classici più femminili, propone variazioni più ironiche e kidult dedicate a Snoopy o Hello Kitty. 
Per quanto riguarda l'abbigliamento, H & M piace a chi ha pazienza, occhio per gli abbinamenti e sa osare, perché spesso, a un primo sguardo distratto, l'impressione generale si potrebbe racchiudere nelle espressioni marasma e scarsa qualità. Beninteso, la durata di questi capi non è eterna, ma se pensiamo alla velocità da schiacciasassi con cui corre il sistema-moda, questa 
caratteristica fa buon viso a cattivo gioco permettendoci di sbizzarrirci e di giocare senza troppi sensi di colpa.

giovedì 20 novembre 2008

Cinepararadise. 1. Be Kind Rewind: L'Arte del Cinema.


Davvero un mistero il motivo per cui questo piccolo grande film, uscito nemmeno un anno fa, abbia avuto poca fortuna. Se mi lasci ti cancello, l'opera più conosciuta del suo regista, Michel Gondry, ha avuto un destino assai più fortunato. E certo si trattava di un film molto più impegnativo (stupendo, intendiamoci, ma impegnativo). 

Il film che ne seguì, L'Arte del Sogno, mi ha vista sconfitta, e anche al botteghino è andato male.
Be Kind Rewind è il più mainstream, tra i film di Gondry, gli attori funzionano benissimo (Jack Black strepitoso e "corporeo" come sempre, Danny Glover, che i più ricordano in Arma Letale, qui alle prese con un personaggio malinconico e lunare, l'anomalo rapper Mos Def nei panni di un ragazzo timido e ingenuo, Mia Farrow in quelli di una stralunata signora), l'ammiccamento alla storia del cinema garantisce un effetto-immedesimazione sicuro, la filosofia che sta alla base della storia è semplice, poetica, efficace.

Eppure.
La storia ha un che di sovversivo: la magia del cinema è tale perché alla portata di tutti, non perché per realizzarla servono milioni di dollari. Così, una piccola, sfigata videoteca del New Jersey, che resiste eroicamente allo strapotere di megastores e supporti digitali, per un caso del destino ribalta la prospettiva: smagnetizzate tutte le videocassette del negozio, l'unica soluzione è rigirare i titoli in proprio e metterli in listino. Con successo insperato. 

Hollywood esce sconfitta, l'idea di cinema che traspare dal film è un elogio alla lentezza, una visione zen che mette in primo piano le idee, l'entusiasmo, la fantasia, la capacità, piuttosto che i mezzi. I cinefili si divertono, certo, ma molti dei film re-interpretati in Be Kind Rewind sono amati da tutti: Ghostbusters, Rush HourMen In Black, King Kong, 2001 Odissea Nello Spazio.

Realizzati con assoluta economia di mezzi e fantasia scatenata, i remake - brevissimi, per altro - hanno nel film un successo di gran lunga maggiore degli originali, al punto da scatenare la rabbia degli studios contro la piccola videoteca, più colpevole di lesa maestà che non di violazione dei diritti d'autore. Ma più che i soldi, possono le idee, in questo gioiellino firmato Gondry: ed ecco allora la comunità tutta partecipare alla realizzazione di un film originale sulla storia di Fats Waller, pianista jazz originario del posto. Un nuovo focolare attorno al quale l'intero quartiere si raccoglie e mobilita, torna a sperare nelle grigie giornate tutte uguali. Una timida, tenace rivoluzione che nasce da un piccolo negozio di videocassette.

Non importa come racconti, ma cosa racconti. Romantico e utopico? Forse. Però, chissà perché, ho la sensazione che se vogliamo sopravvivere ci tocca passare di qua.
PS: detto questo, non perdetevi Jack Black che interpreta la vecchia scorbutica di A spasso con Daisy... Mutande bianche in vista sotto il vestitino a fiori, Timberland, capellino inguardabile e lui che grida continuamente "Hoke", "Hoke" al povero Mos Def con improbabile accento british (Vedi sotto).


mercoledì 19 novembre 2008

This Is Music. 1. Prince and The New Power Generation - Love Symbol.

Era il Natale del 1992. Chi fu a regalarmi quella musicassetta bizzarra, uno strano arabesco dorato a metà tra il simbolo del maschile e del femminile a campeggiare sulla copertina, sullo sfondo il viale di una strana città di grattacieli e, al centro, un cerchio di donne attorno a una danzatrice del ventre vestita di giallo e al suo bizzarro compagno? Non ricordo chi fu, ma ancora oggi lo ringrazio. Perché, se devo iniziare a parlare di dischi fondamentali per la formazione del mio gusto musicale, Love Symbol, quindicesimo album in studio di Prince, sta molto in alto in classifica.
Era l'ultimo disco con il quale il geniale - e qui la parola non si spreca - Prince, musicista, cantante e songwriter di Minneapolis, classe '58 (come Madonna), si presentava con questo nome d'arte. Fino al 2000 metterà in crisi un po' tutti, facendosi chiamare ora The Artist Formerly Known As Prince (Tafkap) o, semplicemente e modestamente, The Artist.
D'altronde, in media stat virtus non è il suo detto preferito. Eccessivo nell'attitudine kitsch, nelle esibizioni, nelle allusioni sessuali, nella prolificità musicale, Prince è sempre stato, anche nei momenti meno felici, una profusione di genio, ispirazione, provocazione, sensualità.
Love Symbol arriva dunque in un momento cruciale per la sua carriera, segnerà uno stacco netto e voluto tra un prima e un dopo, anche se agli stellari livelli del prima non arriverà più.
Si tratta di un vero e proprio concept album, costruito interamente sull'evolvere della storia d'amore tra Prince e Mayte, ennesima perla del suo sconfinato gineceo, qui nella parte di una incantevole principessa egiziana di sedici anni, nella realtà giovane ballerina e vocalist portoricana destinata a diventare sua moglie.
Se siete in giornata no consiglio a tutti di mettere su questo album e alzare il volume. La partenza è a mille, tamarra ma hard to resist: My name is Prince è dichiarazione programmatica più che canzone, un funkettone grezzo e indiavolato che tesse le lodi del nostro intonando My name is Prince and I am funky, My name is Prince the one and only, e altre perle simili. Di tutt'altro registro la successiva, raffinatissima (musicalmente parlando - i testi sono sempre espliciti) Sexy M.F., che dimostra il lato classy di Prince, con un inciso da brivido e i fiati protagonisti su un tappeto ipnotico di chitarra funky e tastiere. Una perfetta sex song. Love 2 the 9's ricalca l'allure eighties di tanti successi di Prince, ma con classe da vendere, mentre The Morning Papers è una ballatona spaccacuore ma con grinta, suonata e cantata benissimo. The Max vira di nuovo sul trash, ma fa muovere il sederino che è una meraviglia e fa pensare a Mc Hammer e Bobby Brown colti da insperata ispirazione. Blue Light, nonostante il titolo, sprizza gioia e solarità reggae da resuscitare i morti, effetto immediatamente azzerato da Eye Wanna Melt With You, sessualissimo pezzo techno con inaspettate linee melodiche e testo X-rated, a conferma che, quando si confronta con gli stili anni Novanta, Prince svilisce e banalizza intuizioni pur pregevoli.
Per fortuna a salvarci accorrono Sweet Baby, splendido pezzo soul anni Ottanta in cui Prince sfoggia il suo celeberrimo falsetto e la sfacciata, insolente The Continental, che ci restituisce il folletto di Minneapolis in splendida forma in quasi sei minuti di sinfonia funk, virtuosismi vocali, cori, cambi di registro, e ritmo da non resistere. Damn U mi riconcilia con l'idea stessa di musica, classe allo stato puro, il pezzo più adatto in una fumosa giornata invernale, fredda, in cui l'unico desiderio è un bel bagno caldo tra candele e bolle di sapone - e la giusta compagnia, of course. Arrogance, micromusical sui generis, riporta alto il grado di tamarraggine, ma è irresistibile nei suoi meno di due minuti di ritmo luciferino e cacofonico. Dopo la grezza e sudata The Flow, un altro pezzo capolavoro, 7, intessuto di sinuose atmosfere arabeggianti e featuring uno dei refrain migliori di sempre, seguito da And God Created Woman, sfoggio di classe un po' ripetitivo ma sempre d'effetto. E' il discreto preludio a un altro ispirato capolavoro dell'album: 3 Chains O' Gold. Basta ascoltarla una volta e l'omaggio è chiaro, direi quasi sfacciato: sono i Queen di A Night at The Opera, di Bohemian Rhapsody, kitsch ma ispirati, intensi e sopra le righe, con picchi di inusitata genialità che Prince elargisce a pacchi in sei minuti di musica. Si ama o si odia, un po' come tutto l'album, eccessivo, discontinuo, raffinatissimo e volgare, esplicito e discreto, sgargiante d'ispirazione, imperfetto e vitalissimo, necessario ancora oggi, godibile, emozionante.
Un vero shakermaker da conservare per i momenti bui.

martedì 18 novembre 2008

The Quintessence of Beauty. 1. Salus Per Acquam.

Riflettiamo un secondo: da dove arriva la vita? Qual è la necessaria indispensabile condizione affinché la vita per come la conosciamo si sviluppi? Bravi, avete riflettuto bene: l'acqua è la risposta.
D'altronde è proprio questo che cercano le sonde spaziali in missione su Marte.
E allora partiamo da qui.
Mi si potrebbe infatti obiettare che curare il proprio aspetto sia dispendioso e alla portata di pochi: sbagliato.
Perché il primo passo, quello che mai deve mancare, riguarda l'acqua. Il bene più disponibile (anche se anch'esso in progressivo esaurimento) ed economico del mondo.
In primis, bevetene tanta. E tanta significa ALMENO un litro al giorno. Se riuscite ad arrivare a un litro e mezzo/due litri siete super, ché il fabbisogno giornaliero dovrebbe essere di due litri e mezzo. Come fare?
Vi spiego il mio metodo. Prendendo come unità di misura i classici bicchieri di carta, che contengono 0,20 lt, appena alzati bevetene due interi. A metà mattina, un altro. A pranzo, altri due. A metà pomeriggio, un altro. Alla sera, altri due. Fate il conto: un litro giusto giusto. E, ribadisco, ricordate che abundare est melium quam deficere. Non dimenticate inoltre, cosa importantissima!, che tutti i cibi contengono acqua in svariate quantità: frutta e verdura dall'80 al 90%, pasta e riso 60%, formaggi dal 30 al 60%, pane 40%. La quantità di acqua proveniente dal cibo costituisce il 50% del fabbisogno giornaliero. Inoltre, l'acqua non conta nessuna caloria e dà un senso immediato di sazietà.
Bere così tanta acqua, lo so, non è qualcosa di naturale, soprattutto quando non è estate e quando siamo fuori casa: l'effetto diuretico è di rara potenza. Ma proprio qui sta il quibus! Facendo lavorare i nostri reni per quello che dovrebbe essere il loro regime, eliminiamo in un batter d'occhio quelle antipaticissime scorie che: 1) vanno immancabilmente ad ammassarsi sottoforma di cellulite; 2) rendono pelle e capelli più sporchi di quanto desidereremmo. Non dobbiamo mai smettere di pensare al nostro corpo come a un meccanismo di delicati equilibri: quello che entra deve essere pari a quello che esce, ciò che altera questo bilanciamento - in difetto o in eccesso - va sicuramente a fare danno da qualche parte.
All'inizio sarà dura, ma credetemi presto diverrà un'abitudine tanto più necessaria quanto più evidente nei suoi benefici.
E poi l'acqua è sinonimo di pulizia, di cura, di benessere: appena svegli sciacquarsi il viso con acqua fredda (anche d'inverno!), dedicare all'igiene intima e alla cura dei denti almeno un minuto la mattina e la sera, fare la doccia almeno ogni due giorni e, se si riesce, dedicare un giorno alla settimana a un bel bagno caldo, dall'effetto calmante, levignate e ansiolitico.
Insomma: comprare tremila prodotti, anche delle marche più chic, ma centellinare sull'acqua è scelta quantomeno illogica e sciocca. Rispolvero il vecchio adagio Truccarsi sul viso sporco è come ritinteggiare la facciata di una casa in rovina.
Bere tanto e lavarsi tanto basterebbe già da solo a migliorare il nostro aspetto. La prossima settimana tenetevi pronti: parleremo di ciò che per primo appare di noi. Il nostro viso.

lunedì 17 novembre 2008

Life As I See It. 1. Rage, Against.

Oggi è una di quelle giornate in cui mi picchiano in testa i pensieri, che se mi guardo allo specchio ho un rifiuto, che ho i capelli una strega, che del sole non mi frega niente, c'è solo il nero e il blu e la voglia di urlare e spaccare i vetri.
E poi quell'egoismo puzzolente e parossistico per cui io sto peggio di chiunque altro e nessuno mi può capire, e vittimismo, e noia, e giù.
Ma soprattutto i pensieri, troppi caotici disturbanti. La carogna che sale a picchi vertiginosi, la voglia di nulla se non di distruggere, e crogiolarmi nel malessere, e non c'è soluzione, no no non c'è.
Sempre meno, sempre peggio di tutti.
Che questi giorni abbiano pietà di me, perché quand'è così, non ce n'è per nessuno.

martedì 11 novembre 2008

The Quintessence of Beauty. 0.

A gentile richiesta, parte da oggi una nuova rubrica: The Quintessence of Beauty.
Di cosa si tratta?
E' molto semplice. Partendo dalla mia esperienza sul campo, curiosa e tormentata e però piena di sorprese, vi illustrerò i modi migliori per prendervi cura di voi per quanto riguarda alimentazione, abbigliamento, prodotti per la cura di viso e corpo, make up e anche - cosa che ritengo imprescindibile per coltivare la reale bellezza - cultura e svago. Se seguirete questi consigli, imparerete a conoscervi meglio, a valorizzare le vostre peculiarità e a essere più serene e clementi con voi stesse.
Per cominciare, vi racconto brevemente una storia. La mia.
C'era una volta un'adolescente insicura, con i denti incisivi un po' pronunciati, il vizio di rosicchiarsi le unghie e qualche problema nell'accettarsi e nel rapportarsi agli altri. Timida e riflessiva, ma interiormente vulcanica curiosa e reattiva, l'adolescente dapprima esprime la sua personale protesta mortificando il suo aspetto: camicioni a quadri di flanella, jeans e scarpe tutt'altro che femminili, capelli trascurati, qualche problema alla pelle, un rifiuto assoluto per quanto riguarda moda, trucco, prodotti di bellezza. E un pessimo carattere. I problemi coi coetanei non mancano, specialmente con l'altro sesso. Eppure le piace la musica, il cinema, le piace scrivere, è dolce con chi riesce a entrare in confidenza, è una buona ascoltatrice.
Un giorno, complice l'atteggiamento non troppo accomodante dei coetanei, in lei scatta qualcosa.
Forse è la frase di quella che credeva un'amica: "Sara, in fondo non sei da buttare via". Sara pensa che quella frase nessuno mai potrà più permettersi di dirla.
E pensa anche che, se non farà qualcosa per amarsi un po' di più, per stimarsi, per volersi bene, non sarà mai realmente amata e capita dagli altri.
Il primo trucco che acquista è un eyeliner: ha sedici anni. Ogni tanto proverà col rossetto della madre, un bel rosso mattone che vira al bordeaux. Ma sono timidi tentativi. A diciassette anni, smette di rosicchiarsi le unghie. 
Ripone per sempre nell'armadio le camicie di flanella e le t-shirt grunge, taglia i capelli, prova con diverse acconciature. Ora sui jeans spiccano maglioncini colorati, o t-shirt più femminili. Alla pulizia del viso, una volta all'anno, si aggiunge la routine quotidiana del sapone struccante, quello sebo-regolatore per intenderci.
Il trucco si fa sempre più visibile: la linea dell'eyeliner accuratamente disegnata, qualche volta un po' di ombretto, il rossetto color mattone e, finalmente, la cipria. Quella fastidiosissima sensazione di lucidità sulla zona T inizia a scomparire.
Alla fine del liceo, i jeans valorizzeranno le curve un po' pronunciate, l'abbigliamento sarà sportivo ma curato, alle Gazelle si affiancheranno scarpe col tacco o con la zeppa.
I vent'anni fanno riemergere in superficie quella bambina che giocava con Gira la Moda o che guidava le coetanee nella creazione di una collezione Primavera-Estate (Daniela e Susanna se lo ricorderanno... Forse). Complice un'amica immanicata con qualunque commessa di profumeria di Torino e dintorni, ogni giornata è un'entusiasmante prova di campioncini delle marche più svariate e chic: sapone per il viso, tonico, crema opacizzante, idratante, energizzante. Maschera. Scrub in granuli o peel-off. Balsamo per il corpo. Olio secco. Crema contorno occhi. Defatigante. Restringi-pori. Crema satinante. Shiseido, Chanel, Dior, Clinique, Estée Lauder, Elizabeth Arden, 
Biotherm, Lancome, Clarins diventano gli inseparabili amici di ogni giornata. Il cambiamento è tutto nel nuovo soprannome che le affibbia quell'amica: Diva.
Dall'amare se stessa al farsi amare il passo è breve: appuntamenti, uscite romantiche, tentativi malriusciti, e il grande amore.
Anche con gli altri le cose migliorano, piano piano. Arriveranno altri problemi, ma il grosso è stato fatto. Anche se non bisogna mai dimenticare che parliamo fondamentalmente di esteriorità: un'esteriorità troppo a lungo trascurata, che stava per soffocare quella ricca, palpitante, vulcanica interiorità - arrabbiata con un corpo e un volto in cui non riusciva a riconoscersi.
Oggi non solo non posso rinunciare ai riti di creme, trucchi e quant'altro, ma adoro la moda e mi diverto un sacco a parlarne come se fosse la questione più urgente di cui dibattere. Le amiche mi chiedono consiglio su tagli di capelli, prodotti di bellezza e abbinamenti abito-accessori con costante fiducia, e dunque ecco qui il modo per ripagarle di tanta fedeltà.
Stay tuned!

giovedì 6 novembre 2008

Sfogo. Cazzo.

Io sono la più cinica tra le ciniche, però sentire certi commenti dai miei coetanei mi fa molto male.
E mi fa capire che è molto più facile distruggere che costruire, è più facile lo scetticismo che la voglia di credere.
Siamo una generazione di giovani morti.
Quando non hai niente, non hai niente da perdere?
Io non voglio crederlo, e anzi dirò di più: la speranza è più forte tanto sono più presenti e vivi il ricordo o l'esperienza della difficoltà, del dolore, della complessità.
Non è retorica, e se devo essere sincera mi friggono le mani a sentire certe cose.

mercoledì 5 novembre 2008

Obama.


Stamattina appena sveglia un unico pensiero: chi è il nuovo presidente degli Stati Uniti?
Ho sentito gente a cui non importava nulla: abbiamo già troppi problemi in Italia, che ci frega a noi? Siamo qui, col nostro piccolo mondo subissato dall'immondizia, impotenti nel venire a patti con la realtà quotidiana... Le notizie dall'America non cambieranno nulla di tutto questo.
A me invece fregava tanto.
Perché in un anno così, dopo problemi sfiducia pessimismo e palate di merda, finalmente è arrivata una notizia meravigliosa, un insegnamento da non dimenticare.
Il rappresentante di una delle minoranze più disgraziate e perseguitate della storia è a capo del Paese più influente del mondo. Ce l'ha fatta. Ha cambiato la storia.
E se ce l'ha fatta lui, ce la può fare ognuno di noi.
La ruota gira, ragazzi. Bisogna avere fiducia, eroicamente. Essere onesti. Lavorare sodo.
Il resto, è questione di tempo, viene da sé.
E credetemi, lo so che è difficile.

martedì 4 novembre 2008

Wall-E.

Lo confesso: sono andata al cinema con un doppio pensiero. Da una parte, l'entusiasmo suscitato in me da trailer e locandine varie, che aveva riesumato quella tenerezza senza parole ormai sopita dai tempi di E.T. 
Dall'altro lato, però, il lacerante sospetto: possibile per la Pixar fare meglio, dopo un capolavoro come Ratatouille?

Le note di Hello Dolly - musical del 1969 con una sfavillante Barbra Streisand - che aprono il film, in contrasto con uno scenario terrestre apocalittico, fuligginoso, deserto e costellato da altissimi grattacieli di immondizia, mi fanno capire che sta per iniziare un film diverso da tutti gli altri. La visione, così realistica nella resa dei dettagli, è un colpo allo stomaco soprattutto perché lungimirante. Ed è qui la chiave del film, il suo messaggio rivoluzionario e mai così adatto ai tempi correnti: questa è la fine che faremo, presi dalle nostre follie, dall'efficienza, dal consumismo, sprezzanti di ogni logica che ci tenga ancorati alle cose veramente importanti.

In Wall-E gli uomini sono ridicoli, obesi, schiavi delle macchine che li servono - in realtà comandandoli -, inebetiti da junk food e pubblicità, letteralmente invertebrati, incapaci di stare eretti, e confinati su una astronave lussuosa che li ospiterà fino a quando sonde appositamente addestrate scopriranno nuove forme di vita sulla Terra ormai sterile.
Ma gli uomini non sono solo questo, o meglio non lo erano, e non è un caso se il robottino Wall-E, unico rimasto sulla Terra a impacchettare piglie infinite di rifiuti, giorno dopo giorno, scopra i sentimenti e la poesia guardando e riguardando quel vecchio vhs con Barbra Streisand.
Le macchine, i robot, in questo film sono più umani degli umani, capaci di innamorarsi, arrabbiarsi, ribellarsi, e la tenera storia d'amore tra il malandato Wall-E e la sfolgorante Eve, sonda mandata in ispezione sulla Terra, è tra le più belle e significative mai viste al cinema. E' dal loro amore, infatti, che l'umanità guadagna una inaspettata seconda possibilità.
Nel vedere questa pellicola mi tornava alla mente un magnifico film con Clive Owen di qualche anno fa, I figli degli uomini, dove, in un futuro non troppo lontano, le donne, ormai diventate completamente sterili, non sono più in grado di garantire la continuità al genere umano. La salvezza è nel grembo di una giovane che, sorprendentemente, rompe questa maledizione e la cui gravidanza viene strenuamente preservata dal granitico Owen. 
Un simile scenario di disastri e rovine e un'analoga disperazione si respirano in Wall-E, ma con la differenza che, laddove nel film di Alfonso Cuarón la salvezza è nelle mani di eroici esseri umani, nel capolavoro Pixar, paradossalmente molto più pessimista, sono le macchine a scuoterli e a riportarli alla vita. 
Ciò basterebbe già a rendere indimenticabile questo film. Ma manca un tassello fondamentale, ciò che lo innalza dal livello di un ottimo film d'animazione a quello di un capolavoro senza tempo.
Ed è la poesia.
Se ne respira a pieni polmoni, seduti sulle comode poltrone del cinema: soprattutto nella prima parte. 
Tanto desolante è il paesaggio terrestre, e tanto spettrale il silenzio che vi regna, intervallato qua e là solo dai rumori di ferraglia del protagonista e dai boati delle tempeste di sabbia (... e dalla musica di Hello Dolly, ça va sans dire!), quanto la corporeità di Wall-E, la sua sensibilità, il suo sguardo (davvero incredibile), la sua generosità spiccano come diamanti in mezzo al fango.
Poetico è il suo custodire gelosamente reperti dell'antica umanità come pupazzi, reggiseni, lampadine, accendini, cubi di Rubik, I-Pod ormai vintage (!!!). Poetica è la sua amicizia con uno scarafaggio, inseparabile compagno di avventure. Poetiche sono le sue umanissime emozioni di fronte all'irresistibile Eve. Poetico è il suo modo di corteggiarla, di inseguirla, di salvarla. Poetico è il suo custodire quella piantina magicamente sopravvissuta all'apocalisse e regalarla a Eve.
E infine, è poesia il dialogo muto e intenso di quella scena meravigliosa in cui Wall-E, stretto all'astronave che riporta Eve alla base, attraversa lo spazio stellare, toccando con il suo braccino sferragliante gli anelli di Saturno che, come polvere di stelle, si muovono nello spazio silenzioso.


giovedì 30 ottobre 2008

Volver: a working class heroine.


Stregata da Penélope nell'ultimo film di Woody Allen, e seguendo un vecchio consiglio, sono andata a recuperare un film di quasi tre anni fa, Volver, diretto magnificamente da Pedro Almodovar e nel quale Penélope è la star assoluta.
Almodovar rivelò ai tempi di avere cucito addosso al temperamento di Penélope il ruolo di Raimunda, volitiva e ribelle moglie e madre che si trova a fare i conti con la realtà più meschina e brutale, preservando sempre intatta la propria dignità e aggrappandosi all'unica certezza che possiede: la famiglia.
Una scelta registica lungimirante ma soprattutto di cuore - ché di cuore, pancia e lacrime sono fatti i film di Almodovar.

Partendo dal presupposto che tutto il cast, quasi interamente femminile (do you remember Tutto su mia madre?) regala interpretazioni splendide - grazie anche a uno script efficace e centrato -, il personaggio di Raimunda è reso indimenticabile dalla Cruz per tutta una serie di motivi.
In primis, si tratta di un personaggio reale, attendibile, colto nelle molteplici sfumature legate ai ruoli che ricopre quotidianamente: moglie infelice, madre giovanissima ma presente, instancabile lavoratrice, sorella premurosa, figlia ribelle.
In secondo luogo, pur mostrando una personalità di fuoco, leonina, rabbiosa, ma capace di un'abnegazione rara - il che potrebbe far pensare a certi stereotipi sul carattere latino della chica caliente e generosa, tanto amati a Hollywood (e di cui la stessa Cruz si è resa protagonista talvolta) -  la grandezza vera di Raimunda è nel mantenere lucidità e coraggio nelle situazioni più disperate, abituata com'è a rapportarsi con uomini nulli e meschini, totalmente dipendenti e incapaci di qualsivoglia protezione. Esatto contrario della nevrotica, inconsistente, genialoide Maria Elena del film di Allen, Raimunda non perde la calma. Mai.

E poi c'è la carismatica bellezza, il magnetismo, sottolineati magicamente da trucco, acconciature e abiti vistosi e di esplosiva sensualità (attendo, prima o poi, una sfilata che renda omaggio a questo personaggio, così inspiring, ricco di spunti visivi), in cui vengono banditi i colori neutri per fare spazio a un esuberante caleidoscopio dominato dal rosso.
Davvero, soltanto Penélope poteva dare corpo e carisma a un personaggio di tale spessore, protagonista di un coro di dolenti voci di donna, straordinarie, testimoni e portatrici di un tradizione, di una cultura, di un'atmosfera tanto cari al regista, che con questo film di ritorni (Volver sognifica appunto tornare), addii, superstizioni e poesia ha mostrato come sia possibile parlare di sentimenti con abbandono, con nostalgia, con rispetto, e mai - la televisione di oggi tristemente insegna - con cattivo gusto.

Leggere. Scrivere. Pensare.


Bellissimo scrivere dopo aver letto qualcosa di importante.
E' come se i pensieri, prima volatili e confusi nella mente, si sedimentassero e depositassero diventando qualcosa di più definito. Dopo aver letto la scrittura è stimolata, accelerata, intensificata. Ergo, pensare prima di scrivere è un'ottima abitudine.
Prima temevo i pensieri: più che altro, ne temevo le conseguenze. Non riuscendo a governarli, mi facevo sopraffare dal caos e dell'impotenza. Questo accade alla maggior parte delle persone, in quanto ci viene insegnato fin da bambini che agire è assai più importante che pensare. Il motivo è semplice: agire è più facile, più comodo, meno doloroso. Però c'è un però. Agire, sembra un paradosso ma è così, chiude tante porte davanti a noi, ci preclude la possibilità di conoscere noi stessi e, da questa conoscenza, trarre quella serenità che solo il coraggio della scoperta trasmette.
Adesso pensare mi piace tantissimo.
Non è più uno sforzo: è, anzi, come liberare le vie respiratorie, aprire dei canali. Ci sono delle attività che agevolano questa pratica: fare le pulizie, ascoltare musica, stirare, fare la doccia.
E poi c'è un momento magico, in cui tutti i pensieri si fanno chiari e scriverei mille pagine: quell'attimo prima di addormentarsi, quella sorta di dormiveglia, in cui la coscienza cede il posto al sogno, e, lasciando andare, la vera essenza di noi trova la sua voce, senza più barriere, sovrastrutture, pregiudizi.

sabato 25 ottobre 2008

The Amazing Adrien.




Nel tumulto di notizie di questo periodo, questa mattina sulla home page di Repubblica.it spiccava l'immagine in bianco e nero di un bimbo imbacuccato sotto la neve. Bellissima.
Fa parte di una mostra dedicata alle splendide fotografie che Silvia Plachy, artista dell'obiettivo celebrata nei più importanti musei del mondo, ha realizzato scegliendo per protagonista suo figlio, l'attore newyorkese Adrien Brody. 
Dalle immagini traspare l'amore ma anche la discrezione ammirata di una madre verso il suo specialissimo figlio, e stamattina, guardandole, mi sono commossa.
La mostra si terrà fino al primo Novembre, alla galleria Cedro26 di Roma.
A questo link http://seidimoda.repubblica.it/fotovideo/home/3395795 potete vederne alcune.
Che meraviglia.
Una boccata d'aria fresca e di amore nel bezzo dell'ennesima, difficile giornata.