mercoledì 28 gennaio 2009

This Is Music. 5. Faith No More - King for a Day... Fool for a Lifetime.

Se c'è un gruppo che è sempre stato fuori da ogni schema, così deliziosamente cazzone e divertente, eppure al contempo di grandi capacità tecniche ed espressive, questo gruppo sono i Faith No More.
La band, nata a San Francisco nell'ormai lontano 1982, e attiva fino al 2004, è - fortunatamente - di difficile etichettatura, ma, per comodità, viene spesso accostata al mare magnum dell'alternative e del crossover rock. In realtà, scorrendo la discografia, e ascoltando soprattutto gli album che vedono il geniale Mike Patton alla voce, il funk, il rap, il soul, il blues, il metal fanno da ossatura a un'idea di musica irriverente, ironica e sempre in bilico tra il trash e la gran classe.
Capolavoro assoluto della loro carriera, ma sfortunato commercialmente (ecchissenefrega), è un album del 1995 che, fin dal titolo, è Faith No More style: King for a Day... Fool for a Lifetime - Re per un giorno cretino per una vita intera - potrebbe essere il loro manifesto, la dichiarazione d'intenti di tutta una carriera.
Ma il titolo non fa giustizia a un'opera variegata e di grandissima qualità, suonata con grande perizia e impreziosita dalle spettacolari - è il caso di dirlo - interpretazioni di mr. Mike Patton.
Get Out apre in grande stile con il suo ritmo sbilenco, la batteria pestata e l'urlato di Patton. Da ascoltare a volume adeguato, il pezzo è tipicamente Faith No More: i sussulti pseudo-metal si alternano ad aperture melodiche inaspettate, discorso che vale altresì per il cantato di Patton.
Ricochet è uno degli episodi migliori, un ottimo esempio di rock inusuale innervato di melodie e passaggi mai banali, così come singolare è il testo, sarcastico e politically uncorrect come nel loro stile ("It's always funny until someone gets hurt and then it's just hilarious!!").
Ma la prima sorpresa arriva con la successiva Evidence. Perché in un baleno si passa dal polpettone - buonissimo, per carità - alle cappesante gratinate: roba da gourmet. Funky-jazz e suadente, deve il suo fascino soprattutto alla schizofrenica bravura di Patton, talmente eccellente nel passare dal falsetto alle note piene da far sembrare il pezzo cantato da due persone diverse. 
Tale sdoppiamento ricompare prepotente in un altro brano carogna: The Gentle Art of Making Enemies ("I deserve a reward cause I'm the best fuck that you ever had"...) che, più che trash e casinista, è magnificamente folle e disturbato.
Star A. D. ha l'andatura di un pazzo musical funky, featuring un'incalzante linea di basso, una sezione di fiati strepitosa e un'interpretazione vocale da manuale.
Se i cuori deboli già sussultarono per The Gentle Art of Making Enemies, meglio per loro non ascoltare Cuckoo for Caca: non solo per l'esagerata interpretazione del buon Patton - che qui urla, strepita, fa il vocione e il vocino da Donald Duck, piange e quant'altro -, non solo per la cupa atmosfera metal, benché resa straniante da uno sfondo di organo, ma soprattutto per l'argomento, che - mi perdonerete - non è altro che... la merda. L'inciso "Shit lives forever" non è abbastanza eloquente? Ripeto: per stomaci musicalmente forti.
Per rilassarci, i nostri chef ci portano su un piatto d'argento un sorbetto che fa digerire anche polenta e osei: Caralho Voador è quasi bossa nova e alterna il cantato in inglese e portoghese, con un effetto chill out assolutamente opportuno. Perché, subito dopo, arriva un'altra divertente minchioneria: Ugly in the morning. La canzone non parla di nulla che non sia già esaustivamente spiegato nel titolo: ovvero di quanto si è brutti al risveglio. Però il pezzo, un metallaccio fracassone, è uno spasso per l'ennesima folle interpretazione di Patton, che spadroneggia in un vero e proprio crescendo di urla e strepiti, fino allo strangolamento finale.
Un po' più convenzionale, ma ottima, è la successiva Digging the grave, che ricorda certi cori ultra melodici alla Bad Religion, veri spiragli di luce fra il tonante incedere di chitarre e batteria.
Take this bottle è uno dei brani capolavoro: lo si potrebbe definire un gran lento blues cantato magistralmente e di fatto lo è, ma se pensiamo a certe canzoni precedentemente ascoltate l'effetto straniante è incredibile.
La title track, lunghissima (ben 6 minuti e 35!), è una lezione di musica ed è una sorta di abstract della Faith No More attitude. La deflagrazione chitarristica del refrain è la costante di un pezzo che cambia registro diverse volte, tenendo ferma l'alternanza forte-piano sia nel cantato che nel suonato. Una geniale struttura circolare apre e chiude questa complessa canzone, che sale sale sale, poi esplode, poi piano piano si spegne sulle parole, sempre più sussurrate: "Don't let me die with that silly look in my eyes".
What A Day appartiene al novero delle canzoni ad minchiam di cui sopra, divertenti e noisy ("What a day if you can look him in the face and hold your vomit), mentre la bellissima The Last to Know ci regala un altro inusuale brano rock dall'ottima melodia e dall'emozionante interpretazione vocale.
La canzone che chiude l'album è anche la più sorprendente, ed è tanto più bella se confrontata ad altri episodi della raccolta. Just a Man è infatti un magnifico brano gospel, con tanto di coro, in cui i Faith No More sono in grado di dimostrare anche ai più scettici di che gran pasta sono fatti.
In definitiva, King for a Day... Fool for a lifetime è un album di complessa fattura così come di complessa interpretazione, giocato fondamentalmente sullo spiazzamento dell'ascoltatore e sulle alternanze forte-piano e serio-faceto. L'album può infatti piacere tanto al fanatico metallaro quanto al più raffinato intenditore di jazz, fino ad arrivare al pubblico mainstream. Mantenendo di base l'impostazione rock-metal, il gruppo gioca coi generi, cimentandosi con bravura e divertendosi tanto più il genere è distante dal loro standard (se di standard si può parlare). Protagonista assoluto, colui che permette alla band di sbizzarrirsi a piacimento, è un monumentale Mike Patton, artista vocale unico al mondo, incredibilmente capace di passare dall'urlo belluino all'interpretazione jazzy, dal falsetto all'intonazione da crooner, e di adattarsi mimeticamente a ogni genere musicale. 
Talmente bravi da risultare credibili anche nella più seria delle vesti, i Faith No More sono una band sottovalutata, assolutamente da recuperare.

domenica 25 gennaio 2009

Tired of Singing Trouble. 6.

Le migliori notizie della settimana dal 19 al 25 gennaio 2009.

Obama day, le star al Lincoln Memorial aprono la festa per il nuovo presidente

Mafia: 24 arresti nel clan Madonia
Sequestrati beni per 4 milioni di euro. Il boss «Piddu» dirigeva dal carcere nonostante il regime 41 bis

Scoperto un nuovo mondo tremila metri sotto il mare
Esplorazione nell'oceano australiano: grandi ragni marini, stelle e coralli finora sconosciuti

L'isola dove nessuno è senza lavoro

Meryl Streep "Ridicolo il no a Gomorra per gli Oscar"

Treccine o capelli lisci, solo 8 euro: la carica dei parrucchieri "etnici"

Stop ai viaggi nei paesi a rischio chi va paga le spese di soccorso

Lo «Zoo», scuse a pagamento su YouTube
Videomessaggio di Mazzoli, Noise e Wender: è stata una cretinata, ora ripariamo impegnandoci per gli animali

Il prof d'italiano ha una «Malatja»: 
la sua banda suona il rock
Paolo Sessa, 34 anni, di giorno insegna al liceo scientifico di Poggiomarino e di notte sul palco con la sua band

Il Piemonte apre a Eluana
"Siamo pronti ad accoglierla"

Mafia, 16 arresti a Partinico e Borgetto
Decapitato il vertice del mandamento

Accordo dentisti-Ministero per sconti ai soggetti a basso reddito

Adozioni internazionali: il 2008 anno record

Muore sul lavoro in una cava di marmo
Arrestato l'imprenditore per omicidio

Gates e il Rotary contro la polio
630 milioni di dollari per debellarla

Vado dallo psicologo, me lo paga l'azienda

«Guantanamo chiuso entro il 2009»
Obama chiede di fermare i processi

Bruce Springsteen torna in Italia

Un «passo» verso il teletrasporto: esperimento tra due atomi
Per la prima volta realizzato un trasferimento di caratteristiche senza l'azione di un terzo elemento

Navigatori oltre il miliardo e il primato spetta alla Cina

giovedì 22 gennaio 2009

Cineparadise. 5. Sette Anime.


Di Muccino non mi dispiacciono le idee cinematografiche: ha una capacità di intuire l'essenza dei tempi comune a pochi. Ne L'ultimo bacio, era la mancanza di responsabilità cronica di certi trentenni; in Ricordati di me, era la crisi dell'isituzione matrimoniale e l'ansia di celebrità delle nuove generazioni. 
Poi lo svolgimento del tema era un'altra cosa: ottimi attori, ma resi nevrotici da una direzione schizofrenica e "di corsa". Scene di isteria come se piovesse. Ecco, di corsa mi sembrano tutti i film di Muccino. Ansiogeni. E troppo melodrammatici.
Poi è arrivato il suo sogno americano: Will Smith si dichiara suo fan e sogna di essere diretto da lui. Un sogno bellissimo, di cui da italiana sono stata molto contenta (a differenza di molti).
Detto, fatto: La ricerca della felicità sbanca i botteghini e convince i critici oltreoceano, raccontando meglio di un americano il sogno di quel Paese e regalando a Will Smith, bravissimo ma - guarda un po'! - sempre di corsa, per tutta la durata del film, una nomination all'Oscar come migliore attore protagonista.
L'esordio USA è dunque un nuovo inizio per il regista italiano, che smorza un certo pessimismo moralista in favore del racconto di un sogno conquistato con l'umiltà e il sacrificio.
Tutto sommato un buon film, efficace nella brutalità di certe scene, poi riscattate dall'happy end. Una storia buonista, direbbe qualcuno. Però ben riuscita, ben fatta, emozionante. Lì, si piangeva.
Poi, quest'anno, è arrivato Sette Anime. L'accoppiata attore-regista ha rinnovato il sodalizio, ma non ha colpito altrettanto nel segno.
Dico fin da subito che mi sono accostata in modo molto razionale a questo film, portandomi dietro anche il poco amore che nutro nei confronti del cinema di Muccino. A me lui sta pure simpatico, però la sua idea di cinema non fa bene al mio modo di essere. Mi piace molto Will Smith, invece, e se c'è una cosa di Sette Anime che ho amato molto sono i suoi due protagonisti: Will Smith appunto, e Rosario Dawson - bella, bellissima in modo imbarazzante, e davvero brava. Will Smith si porta in giro, per tutta la durata del film, un personaggio criptico e pieno di ombre, gravato da un carico di colpa che si svela con eccessiva lentezza. Ecco il primo problema: la lentezza. Va bene l'elogio della lentezza, va bene l'attitudine zen, ma qui si esagera. La prima parte del film mette a dura prova il mio sistema nervoso: di che sta parlando? Perché fa quello che fa? Perché quegli inutili flashback, che nulla spiegano e nulla muovono? Poi a un certo punto è chiaro dove vuole andare a parare, anzi chiarissimo, e non lo svelerò a chi il film non l'ha visto. Dico solo che Beautiful, che seguo con ardore da groupie da quando ho undici anni, quell'intuizione lì l'ha avuta un po' di tempo fa. E sto parlando di Beautiful, non di Kubrick.
La colpa, il riscatto, il sacrificio, il percorso di espiazione quasi francescano del protagonista erano ottime intuizioni - come tutte le intuizioni di Muccino - ma svolte con una tale superficialità, cercando la lacrima facile e l'emozione scontata, che viene il nervoso a pensare a quale occasione sia stata sprecata.
Mi vuoi fare emozionare, mi vuoi spiazzare? E allora rischia, vai fino in fondo. Sorprendimi. Sii più diretto, non stare a girare e rigirare attorno a una cosa che tanto abbiamo capito tutti. E non basta il volto lacerato di un quasi irriconoscibile Will Smith, non basta la luce di Rosario Dawson a farmi passare l'incazzatura, volevo più verità e meno banalità e non l'ho avuta. Ma forse ho sbagliato film.
Non ho versato una lacrima che sia una, e credetemi di singhiozzi in sala ne ho sentiti tanti. Vuol forse dire che non sono umana? Chi mi conosce sa che non è così. E allora preferisco che, se melodramma dev'essere, che sia di Almodovar. Altrimenti, meglio tornare coi piedi per terra e fare per bene ciò che si sa fare. Riconoscere i propri limiti è segno di forza, non di debolezza. Anche se so che labile è il limite tra capacità di rischiare e incoscienza. Ecco: Muccino in questo film non ha saputo riconoscere i propri limiti e, al contempo, non ha rischiato. Strada per diventare davvero grande ce n'è ancora.

mercoledì 21 gennaio 2009

This Is Music. 4. Pearl Jam - Vs.

E' il 1993, siamo in pieno delirio grunge. Le teste di serie - Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chains -, con la loro musica rabbiosa e paranoica, hanno già sfornato album storici: Nevermind, Ten, Badmotorfinger, Dirt datano tra il 1991 e il 1992, e definiscono per sempre le coordinate del genere.
Per tutti questi gruppi, gli album che seguiranno saranno gli indicatori del loro futuro percorso, un percorso che li vedrà prendere strade molto distanti tra loro.
Tra queste band, che amo infinitamente e che hanno segnato la mia adolescenza, i Pearl Jam hanno tuttavia, a mio avviso, una marcia in più.
Fin da Ten, il loro fulminante debutto, era chiaro che, tra tutti i gruppi di quella nidiata, i Pearl Jam vantassero il suono più epico, accorato, sontuoso. Laddove si manteneva il leitmotiv grunge del muro di chitarre, delle liriche urlate e dell'atmosfera prevalentemente permeata di morbosità e disillusione, i Pearl Jam si differenziavano per l'ampio respiro, sia delle musiche che delle splendide interpretazioni del loro frontman, Eddie Vedder.
Con Vs, l'album seguente, il gruppo raggiunge una propria matura cifra stilistica avvicinandosi molto più ad artisti come R.E.M. e Bruce Springsteen, sospesi tra atmosfere acustiche, prese di posizione nette in ambito politico e sociale, e capacità di comporre pezzi dagli incisi indimenticabili.
Meno rock e più cantautorali dei colleghi di Seattle, eppure incredibilmente efficaci e vigorosi, i Pearl Jam con Vs spiazzarono positivamente la critica ed ebbero un successo senza precedenti.
Se a ciò aggiungiamo la ferma convinzione nel negare l'uscita di un qualsiavoglia videoclip promozionale fino al 1998, abbiamo un quadro completo sia della natura intransigente della band che dell'enorme seguito di fedelissimi che li premierà a ogni uscita. 
Ma perché scelgo di raccontare Vs e non Ten, da molti considerato il loro capolavoro? 
E' una scelta di cuore, perché è l'album dei PJ che ho "vissuto" di più. Ma è anche una scelta di testa, perché è un'opera di rara compattezza e coerenza, ricca di sfumature, emozionante.
Parte con un 1-2 che stende: Go e Animal sono rabbia pura, rock come deve essere, rumoroso, urlato, ansimante, da sparare a tutto volume nello stereo. Caricati a palla come siamo, è quasi chill out l'effetto della seguente, intensissima Daughter: ecco qui lo spettro del Boss affacciarsi, con delicatezza, una magnifica chitarra acustica in un crescendo di pathos, e un testo splendido - poche pennellate visive: una figlia e una madre, dei problemi di apprendimento, il dolore. Don't call me daughter. Not fit to. 
Glorified G è un irriverente rock dall'andamento quasi di marcetta e dal riff insolente che ironizza, o meglio fa sarcasmo, sull'uso sconsiderato e imbecille delle armi negli Stati Uniti. 
Dissident, che segue, è una storia d'amore tragica e atipica tra una donna e un uomo ricercato per ragioni politiche. La donna, innamorata di lui, pur ospitandolo lo denuncia, schiacciata dal peso della sua coscienza. Anche qui il metodo narrativo è impressionistico - She folded... A dissident is here - ma, a differenza di Daughter, qui è la chitarra elettrica a fare da protagonista, con un riff maestoso tra i migliori dell'album.
Ma il vero gioiello di Vs è W.M.A. (White Male American), bizzarra quanto splendida canzone-denuncia (lunghissima, peraltro... Ben 6 minuti) sui metodi poco etici di certa polizia americana. Su un tappeto percussivo tribale e uno sfondo di chitarra e basso quasi funk, si innesta il perfetto cantato di Eddie Vedder, ironico e intenso, che si apre nella rabbia di un refrain esplosivo.
E che dire della bruciante Blood, dove si urla, non si canta né si suona, si urla, si pesta, si fa casino, direi punk attitude, sanissima punk attitude condita da una sorprendente chitarrina funky che spunta nel bel mezzo del brano, così, eppure sta proprio al posto giusto.
Su Rearviewmirror tenetevi forte, perché vi batterà il cuore. Qui Vedder non solo canta splendidamente, ma suona una incalzante chitarra ritmica che intesse a mo' di macramé tutta la texture della canzone. Una canzone che cresce ma che sa anche cambiare di registro in un paio di occasioni, tenendo sempre alto il livello di coinvolgimento emotivo. Il testo? Riflessioni sparse su un'idea generica di fuga: scappare, lasciarsi tutto alle spalle, guidare col finestrino abbassato senza mai guardare lo specchietto retrovisore. Spettacolare è il termine giusto. Non ne abuso, credetemi.
Rats la capisco poco, però mi piace il giro di basso e il refrain, così impensabilmente sensuali e indolenti. E funky, ancora funky che spunta qua e là in questo disco.
E che dire di Elderly woman behind the counter in a small town se non che è debitrice di Automatic for the people degli R.E.M., un album di appena un anno prima eppure già storico nel 1993?
Se Leash sarebbe potuta figurare benissimo in Ten - è il pezzo più autenticamente grunge dell'album - la chiusura in grande stile è affidata alla magica Indifference.
Forse questo è il pezzo, insieme a W.M.A., in cui i Pearl Jam dimostrano al meglio di cosa sono capaci. Se là la scelta ricadeva su ritmiche e atmosfere inusuali, qui i toni sono tutti giocati sul basso profilo, crepuscolari e introspettivi, basso organo e interpretazione, ma con andatura quasi soul - la ricanterà, non a caso, Ben Harper qualche anno dopo -.
Un vero e proprio incantesimo, perfetto suggello di uno degli album più memorabili della storia del rock, ancora oggi godibilissimo nella sua adamantina compattezza.

martedì 20 gennaio 2009

The Quintessence of Beauty. 4. Un diavolo per capello.


Non sono una del tipo I capelli sono un'estensione della mia anima, peste colga chi li tocca - però ho una ossessione: la loro pulizia. Fissata come sono con grasso e impurità, che dall'adolescenza mi perseguitano senza un perché, il mio imperativo morale è Lavali, lavali, lavali più che puoi.
A costo di doppie punte, secchezza, colore sbiadito.
Da teenager i capelli erano, insieme alla pelle del viso, il mio cruccio più imbarazzante. Li lavavo ma non sembrava mai abbastanza, erano untuosi, spenti, in più, non essendo molto brava ad acconciarli, le mie onde naturali avevano il sopravvento rendendomi simile a una medusa impazzita.
Non ne capivo niente di bellezza. Ero un disastro.
Il colore naturale dei miei capelli, castano molto scuro, di per sé molto bello, in realtà si scontrava col pallore olivastro del viso, e la consistenza opulenta della fibra capillare, non opportunamente curata, finiva per conferire un aspetto ancora più lugubre e malsano al tutto.
Lo so che pensate che io stia esagerando: chi mi ha conosciuta allora sa che non lo sto facendo.
Un giorno qualcuno - che, chissà, magari mi starà leggendo - mi toccò involontariamente i capelli. Si ritrasse disgustato, e si pulì la mano sul maglione. Ho dimenticato molte cose, col passare degli anni, ma non questa.
Da allora sono molto cambiata, e nessuno sospetta di questa mio passato nerd. Eppure è proprio così!
Oggi i miei capelli sono normalissimi, belli persino. Eppure i problemi genetici sono rimasti... Solo che non si vedono. E vi spiego come si fa.
1. Se i capelli sono grassi e impuri, lavateli a giorni alterni. E' il modo più banale e semplice per tenerli puliti. Tutti i giorni no, è decisamente troppo.
2. Usate shampoo specifici. Non quelli da supermercato! Io utilizzo un prodotto farmaceutico che mi è stato prescritto dieci anni fa da un dermatologo. Si chiama Crinefor ed è a base di argilla e zinco. Io vi consiglio di fare una visita dal dermatologo prima di usarlo, perché è un prodotto davvero risolutivo, ma solo se avete problemi di impurità ed eczema - come me. Non pasticciate troppi prodotti, ma, dopo lo shampoo, limitatevi a un buon balsamo, a scelta, per rendere i capelli un po' più pettinabili e meno simili alla stoppa delle scope. E sciacquate sempre benissimo.
3. In periodi di stress o di maggiore impurità - dovuta a cause ormonali, o a una alimentazione troppo ricca di grassi caffè e dolci - può essere utile affiancare a questa routine un peeling esfoliante per cute e capelli. Io uso quello di Carita Paris, che è una super marca. Costa 35 euro, ma va centellinato.
4. Tingere i capelli, sebbene li stressi non poco, nel caso di untuosità può essere di grande aiuto. La tintura, infatti, tende a disseccarli moltissimo, e aiuta a minimizzare il problema (per dire: si può arrivare a lavare i capelli ogni tre giorni e non ogni due... Dici poco!). Tuttavia, poiché il rovescio della medaglia è che la nostra chioma in questo modo viene sottoposta a una discreta violenza, aiutatela utilizzando una maschera specifica per doppie punte, da applicare solo sulle estremità, NON sulla radice! O siamo punto daccapo. Kerastase è un'ottima marca.
5. Da un punto di vista meramente estetico: scegliete un'acconciatura facile da gestire e che valorizzi al meglio i vostri lineamenti. E' la pettinatura che si deve adattare al viso, non viceversa. Piuttosto che andare ogni settimana da un parrucchiere scarso, andate ogni due mesi da un parrucchiere in gamba, che non vi deturpa i capelli, che non ve li brucia con una tintura sbagliata, che magari vi salassa il portafoglio ma che almeno sa fare il suo mestiere. 
E, credetemi, di questi tempi non è cosa da poco.

lunedì 19 gennaio 2009

Life As I See It. 4. Vorrei.

Ora che è passato quasi un anno, avrei tanta voglia di raccontare quello che mi è successo. 
La ferita rimane aperta, ma non brucia più come prima, i giorni del buio sono passati.
Il freddo della mente non lo sento più.
Mi sembra passato un secolo, e invece nel giro di un anno sono cambiata, sono cambiate tante idee, tanti preconcetti, tante priorità.
In qualche modo vorrei che quello che mi è successo possa aiutare a far sentire meno solo chi magari ci sta passando, o ci è passato ma sente di non essere mai stato capito.
Ripenserei molte cose del mio passato, di me. Non posso farlo.
Ciò che ho è il presente, l'unica cosa certa. 
Sto cercando di viverlo, non so se bene o male. Penso, guardo, ascolto, sbaglio, inciampo, però vivo.
Faccio un passo alla volta, o, secondo la regola di san Bernardo, cerco di vedere tutto, sopportare molto, correggere una cosa per volta (do you remember Il Divo?).
Tengo ferma una cosa: voglio essere una persona onesta.
Intanto ci penso ancora un po' su: forse la mia storia la racconterò la prossima volta.

Tired of Singing Trouble. 5.

Le migliori notizie della settimana dal 12 al 18 gennaio 2009.

Continuo strenuamente a cercare notizie buone, che ci facciano respirare, non perché sono un'ingenua, ma perché queste notizie ci sono, e, soprattutto in un momento zeppo di eventi tragici come questo, ne abbiamo bisogno. Tutti.

Offresi 70 mila euro al mese per badare a un mini-paradiso
L'ente per il turismo australiano offre il lavoro su una striscia di terra della barriera corallina

I 50 ANNI DELLA MOTOWN, L'ETICHETTA DI DETROIT FONDATA DA BARRY GORDY
La musica che ha battuto il razzismo
Con Diana Ross, Stevie Wonder e Marvin Gaye ha cancellato la divisione tra musica nera e bianca

Spagna, Zapatero va online per spiegare le ricette anticrisi

Evasione, il Fisco multa Valentino
Sanzioni per Tozzi e Little Tony

Google Earth entra nel Prado
I capolavori ad alta definizione

Italia, l’energia del vento 
In un anno il 37% in più
Ma Germania e Spagna restano lontane

Al Teatro Stabile arriva l'abbonamento flessibile

Camorra, arrestato il boss Setola
Ai carabinieri: "Avete vinto voi"

"Niente cellulari ai bambini"
Il governo francese si mobilita

Parma, il pestaggio del giovane ghanese
Dieci vigili sospesi, quattro arrestati

L'incubo dell'11 settembre
poi NY s'appassiona al miracolo

L'università si sposta su internet
In Germania le lezioni sono online

Caselle, contro i birdstrikes vola anche un'aquila reale

venerdì 16 gennaio 2009

Glamourama. 3. Davvero poco glamour.

Volevo parlare dei saldi che quest'anno, come non mai, non sono altro che fondi di magazzino raffazzonati e confusionari - ma ci prendono tutti per pezzenti?
Dicevo, volevo parlare di questo e fare la mia solita ironia calembour e invece non lo so, oggi non ho voglia di scherzare, oggi penso che in realtà è tutto così poco glamour, vorrei che lo fosse un po' di più e invece vedi, la mia vita.
Sento le gambe deboli, faccio sogni brutti, ho paura di molte cose. 
Sento di aver perso molti sogni per la strada. 
Se sono affaccendata ci penso meno, e invece il mio terapeuta dice che devo conservare questi momenti tutti miei, accogliere i miei limiti con amore, liberare i vincoli.
Cerco casa con G. e ho ancora bisogno dell'aiuto dei miei. Non ho un lavoro da quasi un anno perché sono caduta in un esaurimento nervoso. Ho citato davanti agli avvocati i miei ex capi e, dopo aver vinto una causa, loro sono ancora lì, a sgattaiolare fra le maglie della legge sul lavoro. Vorrei fare la traduttrice o vivere di scrittura, ma nessuno risponde ai miei curricula. 
Ho un compagno che amo moltissimo, e che mi ama moltissimo. Una famiglia stupenda. Amici presenti e preziosi. La salute fisica. Non sono povera, anche se non sono autonoma. Leggo libri, scrivo, qualche volta faccio yoga, esco, vado al cinema, prendo nota di tutto perché non ricordo mai niente. Mi piace camminare, respirare.
Però a volte mi sento soffocare, l'aria non passa. 
So che nessuno può realmente capire, so che molti avranno la tentazione di giudicare.
Ho avuto un pessimo 2008. Non so come sarà il 2009, ma sto vivendo ogni giornata per quello che mi dà, anche se mi dà tanto, anche se mi dà poco. Non so mai cosa mi porterà la corrente, ma per ora sono viva, e forse basta questo.
Anche se è davvero poco glamour.

giovedì 15 gennaio 2009

Cineparadise. 3. Non Pensarci.


Un giovanotto che ha già passato i trentacinque suona stralunato in mezzo a una band di ragazzini punk rock. Il cantante ventenne, in un maldestro tentativo di stage diving, atterra con tutta la faccia sul duro suolo.  Il giovanotto torna a casa e sorprende la fidanzata con un altro. 
Tre frasi per raccontare l'inizio di Non Pensarci, piccolo grande film italiano del 2007 (presentato al Festival del Cinema di Venezia, ha avuto il plauso nientemeno che da Mario Monicelli), diretto da Gianni Zanasi e impreziosito da un cast perfetto sul quale giganteggia un irresistibile Valerio Mastandrea.

L'apertura, come nelle migliori canzoni rock, fulmina e con sintesi efficace racconta della sensazione, comune a molti, di essere fuori posto ovunque, estranei alla vita, al tempo, al luogo.
E allora Stefano, il giovanotto di cui sopra, lui che dalla ricca Rimini era scappato a Roma col suo sogno di rock'n'roll, lui che aveva rifiutato la logica borghese di una famiglia perbene e della sua azienda di ciliegie in barattolo, lui la pecora nera l'appestato il drogato, torna a casa e quel che trova non è esattamente quel che si immaginava.
La vita di provincia è pulita, funzionante, onesta ma le persone non rispondono al saluto, si passano accanto senza vedersi; la famiglia perfetta è piena di magagne, il padre, ormai pensionato dopo un infarto, si dà spensierato (?) al golf, la madre si affida a strani guru new age, il fratello - quello maggiore, quello più bravo, più a modo, più diligente, quello che aveva preso in mano le redini dell'azienda paterna - è un esaurito, sta facendo fallire l'azienda e si sta separando dalla moglie. L'unico raggio di sole è la sorella minore, un'incantevole creatura che ha scelto di dedicare la sua vita ai delfini.
Ed è qui che il film sorprende perché Stefano, vero deus ex machina, arriva al momento giusto per salvare la sua traballante famiglia e insegnarle a rimettere in discussione tutto, giorno per giorno, senza giudicare, senza affibbiare etichette. E allora Stefano non è più solo il drogato, che poi drogato non è ma è solo sincero, non è più l'eterno Peter Pan incapace di fare i conti con la realtà, ma è l'unico uomo vero che, pur con le sue imperfezioni e i suoi macroscopici errori ci prova, vive, si sporca, si confronta.
E in questa piccola favola la famiglia si avvicina, si stringe, si unisce, i tre fratelli si giocano il tutto per tutto per salvare l'azienda, Stefano scopre doti che non immaginava di avere. Tutto è bene ciò che finisce bene, ma rimane, anche dietro al sorriso, se non alla risata goduta, un'ombra costante di malinconia, di amarezza, il magone di mille occasioni perdute, il dubbio che forse un certo tipo di logica col quale siamo cresciuti non porti da nessuna parte... 
E tutte queste sfumature, magicamente, passano per il volto di un Valerio Mastandrea mai così bravo, efficace a giocare in bilico tra comicità e malinconia, lui con quella faccia un po' così, romano atipico, o forse no; e, attorno a lui, un coro di attori bravissimi su cui brillano i due fratelli: Giuseppe Battiston - 
eccellente anche in Si può fare, con Bisio, altro film-sorpresa di cui parlerò - che conferma le sue grandi qualità di caratterista, e Anita Caprioli che illumina la scena rappresentando l'unico personaggio davvero positivo del film.
Insomma, se avete voglia di divertirvi ma non troppo spensieratamente, di vedere all'opera un gran gruppo di attori, di sentire un'ottima colonna sonora sapete già cosa fare. A la prochaine.

mercoledì 14 gennaio 2009

This Is Music. 3. R.E.M. - Automatic for the People.

Mi piace definire perfetti quegli album che mantengono un livello di eccellenza dalla prima all'ultima canzone, senza cadute di tono, senza sbavature, compatti e coerenti, ricchi di idee e di ispirazione.
Automatic for the People è l'epitome degli album perfetti. 
E' il 1992 quando gli R.E.M., quartetto statunitense originario di Athens, Georgia, mandano alle stampe il successore di Out of Time, il loro album più fortunato. Il titolo scelto è Automatic for the People, dallo slogan che un ristoratore georgiano rivolge ai suoi affezionati avventori. Come sempre accade dopo che una band raggiunge un successo planetario, l'attenzione della critica e del pubblico si fa spasmodica ma anche un po' scettica, quasi che sia impossibile replicare la fortuna del predecessore. 
Intendiamoci: Out of Time è un disco piacevole, con perle di inestimabile valore (Losing My Religion valga per tutte), ma è discontinuo e a tratti frivolo. 
Automatic for the People non ricalca quella linea, come avrebbe potuto comodamente fare, ma rischia senza sbagliare un colpo, sia per la scelta dei temi, sia, soprattutto, per lo splendore delle musiche. 
La sua compattezza è anzitutto nell'atmosfera, che si mantiene cupa e malinconica quasi per tutta l'opera; e poi nei testi, i testi migliori che gli R.E.M. ci abbiano mai regalato, in cui la morte, il dolore, la malinconia e i ricordi si intrecciano nel tessuto narrativo.
Drive è un opener perfetto: scelto come singolo di lancio dell'album, si affida al semplice arpeggio della chitarra di Peter Buck e al carismatico cantato di Michael Stipe: efficace e centrato l'accompagnamento orchestrale - che ritroveremo in altri brani, sotto la direzione di John Paul Jones dei Led Zeppelin -, splendido il video, in un evocativo black and white.
A seguire, Try Not To Breathe è uno degli episodi migliori, e commuove senza retorica raccontando di un vecchio ormai prossimo alla fine che decide di non respirare più, abbandonandosi ai ricordi. The Sidewinder Sleeps Tonite è un delizioso divertissement che alza un po' il tono prima del'adamantina Everybody Hurts, una delle canzoni giustamente più famose degli R.E.M. che, più che per il testo, un accorato appello rivolto a qualcuno che non ce la fa più a vivere, colpisce per il crescendo strappacuore e l'amplissimo respiro orchestrale del finale.
Sweetness Follows è perfezione, con il cupo suono del violoncello che detta il ritmo di un pezzo dedicato alla morte dei genitori, featuring un Michael Stipe che - ce ne fosse ancora bisogno - dimostra la sua stoffa di interprete in modo egregio.
La malinconia è il leitmotiv della successiva Monty Got a Raw Deal: la figura di Montgomery Clift, magnifico e tormentato attore morto troppo presto, viene qui celebrata con rispetto e passione. La carica di Ignoreland, una tirata lucidissima e feroce contro il duo Bush-Reagan che nell'ultimo tour gli R.E.M. hanno rispolverato con impressionante attualità, è seguita da Star Me Kitten, magica e sensuale, e da un tris d'assi che ha pochi eguali nella storia della musica pop.
Apre la mano Man on the Moon, anche questo un omaggio a un artista prematuramente scomparso ma poco conosciuto fuori dagli Stati Uniti: Andy Kaufman. Personaggio di folle bizzarria e probabilmente all'avanguardia per i suoi tempi, Kaufman morì nel 1984 a solì 35 anni. Tale fu il successo di questo brano che, nel 1999, il regista Milos Forman realizzò un biopic su questo personaggio, interpretato da Jim Carrey e Courtney Love, il cui titolo era proprio Man on the Moon e la cui colonna sonora era interamente firmata dagli R.E.M. Il brano è tuttora il pezzo di chiusura di ogni loro concerto.
La seguente, Nightswimming, è una gemma rara: il pianoforte di Mike Mills, struggente, costruisce un giro armonico che s'intreccia a un testo sui ricordi della gioventù, ricordando che Nuotare di notte merita una notte tranquilla.
Gran finale con Find the river, personalmente una delle mie canzoni preferite. Se l'atmosfera malinconica si fa a tratti insostenibile, il testo è a mio avviso il migliore che gli R.E.M. abbiano mai scritto: poesia sulla ricerca di se stessi, sull'importanza di essere, o di diventare, ciò che realmente si è, cercando la propria strada lungo il fiume, lentamente, lontani dalla città e dalle sue malìe fallaci.
Malinconico ma mai deprimente, l'album ebbe un successo strepitoso nonostante la contemporanea esplosione del grunge, ed è tuttora fonte di ispirazione per musicisti come Pearl Jam, U2, Bruce Springsteen.
Ascoltato oggi, emoziona dall'inizio alla fine e rimane a lungo nelle orecchie e nella memoria di chi ha avuto il privilegio di ascoltarlo.

martedì 13 gennaio 2009

The Quintessence of Beauty. 3. Voglio una pelle splendida.


Se il corpo ci permette di comunicare molte cose di noi con immediatezza, ancora più importante è l'involucro che lo contiene e protegge, quello che è considerato il più esteso dei nostri organi: l'epidermide.
Dalla testa ai piedi, con diverse consistenze e conformazioni, la pelle rispecchia con efficace rapidità il nostro stato di salute, e pretende una cura e un rispetto particolare.
Poiché l'argomento è complesso e sfaccettato, e dovendo scegliere un punto di vista, scelgo di raccontare la mia esperienza.

Fino ai 13-14 anni, la mia pelle era come quella di tutti i bambini: setosa, costellata di una chiara peluria, profumata. Avete mai annusato la pelle dei bambini, soprattutto di quelli più piccoli?Ecco.
Poi purtroppo, all'arrivo della maledetta pubertà, qualcosa è cambiato. La mia povera pelle era diventata grassa e piena di imperfezioni. Quando questo succede durante l'adolescenza, in cui essere accettati dagli altri è il problema più assillante, la questione assume delle sfumature drammatiche. Lo so per esperienza, sono stata spesso presa in giro per questo problema. Pelle e capelli erano disastrosi, non c'era pulizia del viso, detersione specifica, rimedi farmaceutici che tenessero.
Verso i 17 anni, attenuandosi - anche se non moltissimo - il problema, la situazione era leggermente migliorata, forse anche grazie alla maggiore cura che riponevo nel truccarmi e vestirmi.
E poi, lo dico chiaramente, le prese in giro e le piccole umiliazioni degli anni del liceo avevano lasciato in eredità una fissazione maniacale per la mia pelle e i miei capelli, che dovevano essere sempre lindi, non lucidi, non unti, di consistenza setosa. Una rincorsa alla perfezione epidermica infantile che aveva dell'assurdo.
Purtroppo qui, se mi dilungassi, scenderemmo in ambito psicologico, e non voglio farlo.
Vi dico solo che oggi, a quasi trent'anni, la mia pelle, pur con lo svantaggio genetico di essere tendente all'impurità, è un'ottima pelle, e per arrivare a questo risultato non faccio sforzi o spese esagerati.
Credetemi: ho provato ogni marca e ogni linea di detersione specifica per le pelli impure. E vi dico, in primis, che non necessariamente le marche più costose sono le più efficaci. Non me ne vogliano, ma, per esempio, Shiseido ed Estee Lauder sono assolutamente inefficaci per questo tipo di problema. Biotherm si difende, ma non eccelle, stesso dicasi per Lancome. I vari Topexan, L'Oreal, Deborah sono inutili. Invece, decisiva è stata la scelta di Clinique, che consiglio caldamente a tutti coloro che hanno pelle impura con brufoletti e punti neri.
Clinique ha inventato un sistema di pulizia della pelle trifasico e a diversi livelli: quattro tipologie di linea per pelli da molto sensibili, a normali, a miste a grasse. Le tre fasi, nello specifico, consistono di un sapone - solido o liquido, a scelta... Io consiglio il liquido, che ha un comodo erogatore -, deputato alla pulizia profonda e alla rimozione di ogni residuo di impurità sulla pelle, di un tonico esfoliante e restringi-pori e di un fluido idratante.

Inizialmente io ho utilizzato la linea 3, per pelli grasse, ma, dopo un anno di trattamento, mi è stato consigliato di passare alla linea 2, per pelli miste, proprio perché la cura si era rivelata particolarmente efficace. La linea 4 è per casi estremi, con brufoli e punti neri, e forse sarebbe stata risolutiva per la mia pelle adolescente.
Oggi affianco a questa cura, che - cosa importantissima - non provoca nessun tipo di allergia e non lascia profumo, la lozione della linea Pore Minimizer, creata ad hoc per risolvere il problema dei pori dilatati. Io la chiamo la crema magica perché, come nessun'altra, ha risolto il problema della pelle lucida e dei pori giganteschi. Va applicata dopo la lozione idratante.
I prodotti Clinique si aggirano attorno ai 25-30 euro, e non sempre è possibile sostenere questo tipo di spesa. 
Tuttavia vi posso consigliare degli ottimi sostituti. Mantenendo irrinunciabile l'utilizzo di Pore Minimizer, vero it product, raccomando la linea Nivea Visage: il gel detergente rinfrescante e il tonico addolcente sono estremamente efficaci e con un massimo di 6 euro l'uno ve la cavate.
Poi, una volta a settimana, è opportuno:
- se soffrite di punti neri, il cerottino Nivea che, a contatto con l'acqua, li asporta delicatamente
- 5 minuti di maschera Clinique per pelli grasse, a base d'argilla.

E ricordate: la pelle rispecchia in modo fenomenale il nostro stato d'animo, risente di stress e tensioni accumulate. Per questo, in momenti delicati o difficoltosi, appare più spessa, opaca, soggetta a irritazioni; d'inverno tende a seccarsi e screpolarsi, d'estate a diventare più oleosa. Non eccedete con alcolici, caffè, salumi e fritti, che la "ingrassano" oltremodo. Bevete tanta acqua.
Questi sono i miei suggerimenti. Perché non mi rivelate i vostri beauty secrets
Prossima settimana, focus sui capelli.

lunedì 12 gennaio 2009

Life As I See It. 3. La Città assoluta.


Trovarsi a Roma, qualunque sia il periodo dell'anno, è sempre un'emozione di difficile resa. 
Ci sono tornata questo Capodanno, per la quarta o quinta volta nella mia vita, e mi sono ritrovata a stupirmi ancora.
Roma non è semplicemente bella: è qualcosa di più. Organismo vivo e imperfetto, ricco, opulento e sbruffone, conserva sempre intatta la magia dei millenni che l'hanno vista regina. Consapevole della sua forza, bellezza e sconfinata cultura, Roma tuttavia non si erge a monumento di se stessa e, senza snobismo né modestia, si presenta in tutta la sua vivacità e grandezza, semplicemente per quella che è.
Metropoli dai tempi dilatati e incredibilmente a misura d'uomo, parla a ciascuno di noi con un linguaggio diverso eppure universale, con spontaneità e smisurata vanità.
Roma, anche d'inverno, scalda l'anima, anche se c'è la nebbia che sale dal Tevere, anche se il buio cala sulle sue  forme sinuose: i palazzi gravati di storia osservano il passante con severità ma al contempo si offrono al suo sguardo con orgoglio, raccontano di tempi di potere e ricchezza meglio di quanto migliaia di annali potrebbero mai fare.
Le chiese, le fontane, le piazze, i ristoranti, luoghi di ritrovo, ristoro e raccoglimento così numerosi in Roma, sembrano sintetizzare la sua attitudine accogliente e umana, attenta al godimento dei piaceri ma mai dimentica dello sguardo silenzioso e grave della Chiesa.
E i suoi abitanti, fieri, disponibili, adorabilmente cinici e sbruffoni, accolgono gli ospiti venuti da ogni luogo con quell'affabilità e con quell'orgoglio propri di chi sa di essere invidiato e ammirato per la fortuna di essere nato in quella città, enorme, assoluta, eterna, misteriosa e carica di luce senza paura di mostrare le sue imperfezioni.


domenica 11 gennaio 2009

Tired of Singing Trouble. 4.

Le migliori notizie della settimana dal 5 all'11 gennaio 2009.


Palermo, Riina jr ritorna in cella
La Cassazione conferma la condanna

"Preti gay, per i fedeli
non è più tabù"

Sub non vedenti: sott'acqua 
grazie ad una mano amica
Le iniziative della rete dei "tutor": corsi per accompagnare negli abissi anche chi non vede

Elio alla Scala, provocazione classica
«Preoccupato? No, affannato. Quel giorno avrò un'operina anche a Firenze»

Terrorismo, la promessa di Barack
"Gli Usa bandiranno la tortura"

Braccio di ferro il marinaio
Ottant'anni di spinaci