mercoledì 28 gennaio 2009

This Is Music. 5. Faith No More - King for a Day... Fool for a Lifetime.

Se c'è un gruppo che è sempre stato fuori da ogni schema, così deliziosamente cazzone e divertente, eppure al contempo di grandi capacità tecniche ed espressive, questo gruppo sono i Faith No More.
La band, nata a San Francisco nell'ormai lontano 1982, e attiva fino al 2004, è - fortunatamente - di difficile etichettatura, ma, per comodità, viene spesso accostata al mare magnum dell'alternative e del crossover rock. In realtà, scorrendo la discografia, e ascoltando soprattutto gli album che vedono il geniale Mike Patton alla voce, il funk, il rap, il soul, il blues, il metal fanno da ossatura a un'idea di musica irriverente, ironica e sempre in bilico tra il trash e la gran classe.
Capolavoro assoluto della loro carriera, ma sfortunato commercialmente (ecchissenefrega), è un album del 1995 che, fin dal titolo, è Faith No More style: King for a Day... Fool for a Lifetime - Re per un giorno cretino per una vita intera - potrebbe essere il loro manifesto, la dichiarazione d'intenti di tutta una carriera.
Ma il titolo non fa giustizia a un'opera variegata e di grandissima qualità, suonata con grande perizia e impreziosita dalle spettacolari - è il caso di dirlo - interpretazioni di mr. Mike Patton.
Get Out apre in grande stile con il suo ritmo sbilenco, la batteria pestata e l'urlato di Patton. Da ascoltare a volume adeguato, il pezzo è tipicamente Faith No More: i sussulti pseudo-metal si alternano ad aperture melodiche inaspettate, discorso che vale altresì per il cantato di Patton.
Ricochet è uno degli episodi migliori, un ottimo esempio di rock inusuale innervato di melodie e passaggi mai banali, così come singolare è il testo, sarcastico e politically uncorrect come nel loro stile ("It's always funny until someone gets hurt and then it's just hilarious!!").
Ma la prima sorpresa arriva con la successiva Evidence. Perché in un baleno si passa dal polpettone - buonissimo, per carità - alle cappesante gratinate: roba da gourmet. Funky-jazz e suadente, deve il suo fascino soprattutto alla schizofrenica bravura di Patton, talmente eccellente nel passare dal falsetto alle note piene da far sembrare il pezzo cantato da due persone diverse. 
Tale sdoppiamento ricompare prepotente in un altro brano carogna: The Gentle Art of Making Enemies ("I deserve a reward cause I'm the best fuck that you ever had"...) che, più che trash e casinista, è magnificamente folle e disturbato.
Star A. D. ha l'andatura di un pazzo musical funky, featuring un'incalzante linea di basso, una sezione di fiati strepitosa e un'interpretazione vocale da manuale.
Se i cuori deboli già sussultarono per The Gentle Art of Making Enemies, meglio per loro non ascoltare Cuckoo for Caca: non solo per l'esagerata interpretazione del buon Patton - che qui urla, strepita, fa il vocione e il vocino da Donald Duck, piange e quant'altro -, non solo per la cupa atmosfera metal, benché resa straniante da uno sfondo di organo, ma soprattutto per l'argomento, che - mi perdonerete - non è altro che... la merda. L'inciso "Shit lives forever" non è abbastanza eloquente? Ripeto: per stomaci musicalmente forti.
Per rilassarci, i nostri chef ci portano su un piatto d'argento un sorbetto che fa digerire anche polenta e osei: Caralho Voador è quasi bossa nova e alterna il cantato in inglese e portoghese, con un effetto chill out assolutamente opportuno. Perché, subito dopo, arriva un'altra divertente minchioneria: Ugly in the morning. La canzone non parla di nulla che non sia già esaustivamente spiegato nel titolo: ovvero di quanto si è brutti al risveglio. Però il pezzo, un metallaccio fracassone, è uno spasso per l'ennesima folle interpretazione di Patton, che spadroneggia in un vero e proprio crescendo di urla e strepiti, fino allo strangolamento finale.
Un po' più convenzionale, ma ottima, è la successiva Digging the grave, che ricorda certi cori ultra melodici alla Bad Religion, veri spiragli di luce fra il tonante incedere di chitarre e batteria.
Take this bottle è uno dei brani capolavoro: lo si potrebbe definire un gran lento blues cantato magistralmente e di fatto lo è, ma se pensiamo a certe canzoni precedentemente ascoltate l'effetto straniante è incredibile.
La title track, lunghissima (ben 6 minuti e 35!), è una lezione di musica ed è una sorta di abstract della Faith No More attitude. La deflagrazione chitarristica del refrain è la costante di un pezzo che cambia registro diverse volte, tenendo ferma l'alternanza forte-piano sia nel cantato che nel suonato. Una geniale struttura circolare apre e chiude questa complessa canzone, che sale sale sale, poi esplode, poi piano piano si spegne sulle parole, sempre più sussurrate: "Don't let me die with that silly look in my eyes".
What A Day appartiene al novero delle canzoni ad minchiam di cui sopra, divertenti e noisy ("What a day if you can look him in the face and hold your vomit), mentre la bellissima The Last to Know ci regala un altro inusuale brano rock dall'ottima melodia e dall'emozionante interpretazione vocale.
La canzone che chiude l'album è anche la più sorprendente, ed è tanto più bella se confrontata ad altri episodi della raccolta. Just a Man è infatti un magnifico brano gospel, con tanto di coro, in cui i Faith No More sono in grado di dimostrare anche ai più scettici di che gran pasta sono fatti.
In definitiva, King for a Day... Fool for a lifetime è un album di complessa fattura così come di complessa interpretazione, giocato fondamentalmente sullo spiazzamento dell'ascoltatore e sulle alternanze forte-piano e serio-faceto. L'album può infatti piacere tanto al fanatico metallaro quanto al più raffinato intenditore di jazz, fino ad arrivare al pubblico mainstream. Mantenendo di base l'impostazione rock-metal, il gruppo gioca coi generi, cimentandosi con bravura e divertendosi tanto più il genere è distante dal loro standard (se di standard si può parlare). Protagonista assoluto, colui che permette alla band di sbizzarrirsi a piacimento, è un monumentale Mike Patton, artista vocale unico al mondo, incredibilmente capace di passare dall'urlo belluino all'interpretazione jazzy, dal falsetto all'intonazione da crooner, e di adattarsi mimeticamente a ogni genere musicale. 
Talmente bravi da risultare credibili anche nella più seria delle vesti, i Faith No More sono una band sottovalutata, assolutamente da recuperare.

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