mercoledì 21 gennaio 2009

This Is Music. 4. Pearl Jam - Vs.

E' il 1993, siamo in pieno delirio grunge. Le teste di serie - Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chains -, con la loro musica rabbiosa e paranoica, hanno già sfornato album storici: Nevermind, Ten, Badmotorfinger, Dirt datano tra il 1991 e il 1992, e definiscono per sempre le coordinate del genere.
Per tutti questi gruppi, gli album che seguiranno saranno gli indicatori del loro futuro percorso, un percorso che li vedrà prendere strade molto distanti tra loro.
Tra queste band, che amo infinitamente e che hanno segnato la mia adolescenza, i Pearl Jam hanno tuttavia, a mio avviso, una marcia in più.
Fin da Ten, il loro fulminante debutto, era chiaro che, tra tutti i gruppi di quella nidiata, i Pearl Jam vantassero il suono più epico, accorato, sontuoso. Laddove si manteneva il leitmotiv grunge del muro di chitarre, delle liriche urlate e dell'atmosfera prevalentemente permeata di morbosità e disillusione, i Pearl Jam si differenziavano per l'ampio respiro, sia delle musiche che delle splendide interpretazioni del loro frontman, Eddie Vedder.
Con Vs, l'album seguente, il gruppo raggiunge una propria matura cifra stilistica avvicinandosi molto più ad artisti come R.E.M. e Bruce Springsteen, sospesi tra atmosfere acustiche, prese di posizione nette in ambito politico e sociale, e capacità di comporre pezzi dagli incisi indimenticabili.
Meno rock e più cantautorali dei colleghi di Seattle, eppure incredibilmente efficaci e vigorosi, i Pearl Jam con Vs spiazzarono positivamente la critica ed ebbero un successo senza precedenti.
Se a ciò aggiungiamo la ferma convinzione nel negare l'uscita di un qualsiavoglia videoclip promozionale fino al 1998, abbiamo un quadro completo sia della natura intransigente della band che dell'enorme seguito di fedelissimi che li premierà a ogni uscita. 
Ma perché scelgo di raccontare Vs e non Ten, da molti considerato il loro capolavoro? 
E' una scelta di cuore, perché è l'album dei PJ che ho "vissuto" di più. Ma è anche una scelta di testa, perché è un'opera di rara compattezza e coerenza, ricca di sfumature, emozionante.
Parte con un 1-2 che stende: Go e Animal sono rabbia pura, rock come deve essere, rumoroso, urlato, ansimante, da sparare a tutto volume nello stereo. Caricati a palla come siamo, è quasi chill out l'effetto della seguente, intensissima Daughter: ecco qui lo spettro del Boss affacciarsi, con delicatezza, una magnifica chitarra acustica in un crescendo di pathos, e un testo splendido - poche pennellate visive: una figlia e una madre, dei problemi di apprendimento, il dolore. Don't call me daughter. Not fit to. 
Glorified G è un irriverente rock dall'andamento quasi di marcetta e dal riff insolente che ironizza, o meglio fa sarcasmo, sull'uso sconsiderato e imbecille delle armi negli Stati Uniti. 
Dissident, che segue, è una storia d'amore tragica e atipica tra una donna e un uomo ricercato per ragioni politiche. La donna, innamorata di lui, pur ospitandolo lo denuncia, schiacciata dal peso della sua coscienza. Anche qui il metodo narrativo è impressionistico - She folded... A dissident is here - ma, a differenza di Daughter, qui è la chitarra elettrica a fare da protagonista, con un riff maestoso tra i migliori dell'album.
Ma il vero gioiello di Vs è W.M.A. (White Male American), bizzarra quanto splendida canzone-denuncia (lunghissima, peraltro... Ben 6 minuti) sui metodi poco etici di certa polizia americana. Su un tappeto percussivo tribale e uno sfondo di chitarra e basso quasi funk, si innesta il perfetto cantato di Eddie Vedder, ironico e intenso, che si apre nella rabbia di un refrain esplosivo.
E che dire della bruciante Blood, dove si urla, non si canta né si suona, si urla, si pesta, si fa casino, direi punk attitude, sanissima punk attitude condita da una sorprendente chitarrina funky che spunta nel bel mezzo del brano, così, eppure sta proprio al posto giusto.
Su Rearviewmirror tenetevi forte, perché vi batterà il cuore. Qui Vedder non solo canta splendidamente, ma suona una incalzante chitarra ritmica che intesse a mo' di macramé tutta la texture della canzone. Una canzone che cresce ma che sa anche cambiare di registro in un paio di occasioni, tenendo sempre alto il livello di coinvolgimento emotivo. Il testo? Riflessioni sparse su un'idea generica di fuga: scappare, lasciarsi tutto alle spalle, guidare col finestrino abbassato senza mai guardare lo specchietto retrovisore. Spettacolare è il termine giusto. Non ne abuso, credetemi.
Rats la capisco poco, però mi piace il giro di basso e il refrain, così impensabilmente sensuali e indolenti. E funky, ancora funky che spunta qua e là in questo disco.
E che dire di Elderly woman behind the counter in a small town se non che è debitrice di Automatic for the people degli R.E.M., un album di appena un anno prima eppure già storico nel 1993?
Se Leash sarebbe potuta figurare benissimo in Ten - è il pezzo più autenticamente grunge dell'album - la chiusura in grande stile è affidata alla magica Indifference.
Forse questo è il pezzo, insieme a W.M.A., in cui i Pearl Jam dimostrano al meglio di cosa sono capaci. Se là la scelta ricadeva su ritmiche e atmosfere inusuali, qui i toni sono tutti giocati sul basso profilo, crepuscolari e introspettivi, basso organo e interpretazione, ma con andatura quasi soul - la ricanterà, non a caso, Ben Harper qualche anno dopo -.
Un vero e proprio incantesimo, perfetto suggello di uno degli album più memorabili della storia del rock, ancora oggi godibilissimo nella sua adamantina compattezza.

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