giovedì 9 ottobre 2008

Riflessione sul Dolore. Parte 2.

Essere foglia, e vento. Ecco cos'ho imparato dalla mia esperienza di dolore. Lasciare andare, abbandonarsi al flusso degli eventi, ma al contempo provocare un cambiamento, imporre il proprio ritmo. Ci sono infiniti tipi di dolore, tanti quanti sono gli essere umani. Eppure, quale che sia la causa, sorprende accorgersi che la percezione psicologica del dolore è sorprendentemente simile.
Sono tante le cause che producono dolore: un lutto, un abbandono, una delusione. Tante piccole grandi morti che ribaltano il nostro sentire imponendo un cambiamento.
Perché doloroso è il trasformarsi del bruco in farfalla. La trasformazione, il passaggio, è dolore.
Nel mio caso, la profonda delusione sul lavoro ha preso le sembianze di una totale messa in discussione della mia vita, del mio valore, dei miei valori. Nel racconto del dolore, emerge lo stacco netto tra il prima e il dopo: come una centralina che va in corto circuito, la mia psiche ha imposto una pausa. Mancava un'educazione al sentire, prima. La frenesia, l'iper-attività, annullava anesteticamente i momenti di riflessione, di percezione delle proprie sfumature emotive, non immaginando però che stava creando i presupposti affinché quegli stessi momenti divenissero necessari e vitali.
Il dolore insegna, imponendo appunto una pausa, a sentire fortemente e con coscienza. Insegna una paradossale disciplina della lentezza, paradossale in quanto non-disciplina. Insegna a tollerare l'errore, la pausa, la non efficienza, la mancanza. Insegna a tentare, sbagliando.
Insegna.

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