lunedì 24 novembre 2008

Life As I See It. 2. Il culto dell'unico figlio.

Me lo fa spesso notare G.: qui al nord c'è una quantità inquietante di figli unici. Io stessa lo sono, e quasi tutti i miei amici che vivono qui hanno al massimo un fratello, o una sorella. Gli amici di Palermo, invece, sono una meraviglia. Famiglie con almeno due figli, ma anche con tre. 
La cosa triste è constatare come essere figli unici non sia poi così divertente e comodo come potrebbe sembrare superficialmente. Io ho sempre sofferto di questa mia condizione, l'ho sempre trovata innaturale e triste. Non mi è mai fregato nulla di avere più giocattoli, o l'amore incondizionato e indiviso dei miei genitori.
I figli unici sono spesso malinconici, introversi, o all'inverso, iperattivi e con la sindrome del koala, che si appiglia al primo ramo disponibile. 
Io sono del primo tipo. 
Il mio carattere, già di per sé timido e riflessivo, si è ulteriormente acuito con la solitudine, da dividere solo coi Lego e le Barbie. 
Quanto ho desiderato un fratello, o una sorella! L'ideale sarebbe stato un fratellone più grande. Un fratello magari apprensivo, rompiballe, ma che mi avrebbe portato in giro con i suoi amici non appena fossi diventata adolescente, una via di mezzo tra l'amore geloso di un papà e la scanzonata complicità di un amico più grande. O una sorella con cui condividere le confidenze e i prodotti di bellezza, sicura che nessuno ci avrebbe separato mai. 
E invece non è stato così.
La mia condizione la trovavo triste quando ero più piccola, e ora che sono adulta la trovo drammatica.
Perché quando crolla il mito dei genitori, passaggio fondamentale e necessario dell'età adulta, non c'è nessun altro baluardo a cui guardare, nessun'altra spalla su cui piangere e con cui condividere dolori e responsabilità. 
Rimane un'agghiacciante solitudine, un'amarezza ineluttabile, perché non si può cambiare ciò che è stato.
Ricordo spesso ai miei genitori il loro errore. Penso sia stata la troppa paura a impedire loro di darmi un fratello. Paura che i soldi non sarebbero bastati; paura di un'altra gravidanza difficoltosa.
Perché poi c'è l'aspetto più sinistro della faccenda-figlio unico: il culto che i genitori sviluppano verso quella solitaria creatura frutto della loro unione.
Il figlio unico è il più bello, infallibile, straordinario, perdonabile, indifeso degli esseri: e per questo va tutelato e protetto o, in altri casi, spronato e programmato per eccellere. 
Non c'è via di scampo.
Il dramma scaturisce quando il figlio, nel confronto con la realtà extra-familiare, scopre che i meccanismi cambiano, che l'indulgenza non è scontata, che l'idolatria non è di default.
Interrogatevi sui vostri amici figli unici: spesso sono persone nevrotiche, o infelici.
Perché cercano inconsciamente di riprodurre quella condizione idilliaca di quando erano bambini, e figli, e tutto ruotava attorno a loro.
Tuttavia, c'è una cosa bellissima dell'essere figlio unico: il coraggio di essere soli contro il mondo, di accollarsi il peso della vita. 
E, quando un figlio unico diventa genitore - fateci caso - non ha quasi mai un unico figlio.

1 commento:

noemi ha detto...

Sarina, mi si è gelato il sangue. Questo è il peso più grande che anche io mi porto sulle spalle (oltre al mondo intero naturalmente ;). Sono infelice per questa ragione, drammaticamente, come scrivi tu. Facciamoci forza tra figli unici.